Se si pensa al Brasile, associamo tante cose: Rio de Janeiro, Copacabana, mare, samba, carnevale, Amazzonia. Se si pensa al calcio, associamo ad una cosa sola: joga bonito (trad. “gioco bellissimo”), il calcio praticato in quella parte di Mondo e basato su velocità, tecnica, rabone, doppi passi, estro e tanta, tanta fantasia.
Se il joga bonito è nato con la generazione dei Ronaldo Nazario, dei Ronaldinho, dei Rivaldo, dei Denilson, degli Adriano e dei Roberto Carlos, il suo progenitore è nato tra la fine degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta e si chiamava futebol bailado (trad. calcio ballato). Se il joga bonito è fantasia, il futebol bailado, lo dice la parola stessa, è fatto di tocchi semplici, morbidi, sempre fantasiosi e a praticarlo è stata un generazione di fenomeni in tutti i ruoli del campo e che ebbe la sua massima espressione nel Mondiale spagnolo del 1982. Un Brasile tecnicamente avanzato, forse ancora meglio di quello del 1970 dei celebri “Cinque numeri 10 in campo” (Jairzinho, Gerson, Tostão, Pelé e Rivelino) e di quello del 1958 in Svezia che svelò al Mondo l’allora diciassettenne Pelé.
Il Brasile del 1982 è considerato da tutti come una delle Nazionali più forti di sempre. Del resto, come dire il contrario? In campo giocava contemporaneamente gente come Falcao, Junior, Edinho, Oscar, Zico, Cerezo e Sócrates. Una squadra che ebbe la sfortuna di incontrare il 5 luglio al “Sarria” di Barcellona l’Italia di Bearzot che gli diede una lezione di calcio impartita dal “professor” Paolo Rossi che segnò le tre reti azzurre. Italia qualificata alla semifinale (poi vinta contro la Polonia con doppietta di “Pablito”) e poi vincitrice del titolo in finale contro la Germania Ovest al “Bernabeu” con Zoff che a fine partita alzò al cielo la terza Coppa del Mondo azzurra. Brasile a casa a leccarsi le ferite e a rimuginare su cosa avesse sbagliato.
In quel Brasile però merita una specifica il capitano, Sócrates, morto il 4 dicembre 2011 a 57 anni, lasciando un vuoto non solo tra i suoi cari ma anche tra quelli che amano il calcio. Ed essendo stato un brasiliano un po’ atipico, quello che è passato alla storia con il soprannome di “tacco di Dio” merita un approfondimento particolare.
Nato Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, Sócrates ha avuto un padre, Raimundo che non aveva un livello di istruzione molto elevato, ma è stato uno che si è sempre rimboccato le maniche per far vivere al meglio la sua famiglia. Nonostante non terminò le elementari, il signor Raimundo era uno che leggeva libri su libri. Tanti libri, anche i classici greci e per questo motivo ha deciso di chiamare uno dei figli come uno dei massimi filosofi greci, Socrate, “brasilianizzato” in Sócrates. Per la cronaca, ebbe altri due figli maschi che furono chiamati Sofocles e Sostenes.
Raimundo obbligò i figli a studiare perché secondo lui chi non studiava era condannato ad essere schiavo per tutta la vita. Il giovane Sócrates si mise a studiare di buona lena e si iscrisse perfino alla facoltà di medicina, ma non voleva distogliersi dalla passione per il calcio, in Brasile una sorta di religione laica. Sócrates, come il padre, legge, si accultura, si informa e prende anche una coscienza politica vicina al socialismo e alla sinistra.
Sócrates si laureò ma non volle esercitare perché lui voleva diventare un calciatore professionista. Calciatore e medico, un trade d’union che dire particolare è poco. Studiava tanto ma si allenava anche poco: un po’ per indole, un po’ per mancanza di tempo da dedicare al calcio.
Fisicamente Sócrates era alto, avevi i capelli ricci e piedi di un certo spessore. O meglio, un colpo di tacco di un certo spessore. Era un tifoso del Santos e, come tanti suoi coetanei, aveva un idolo: Edson Arantes do Nascimento detto Pelé.
Sócrates giocava all’inizio in attacco ma poi fu dirottato a centrocampo dove la sua prestanza fisica (192x75) lo rendeva una diga. Ovviamente, ça va sans dire, aveva i piedi educati e quando giocava sembrava ballasse. E poi quel tacco usato per giocare, per smarcarsi, per smarcare e per segnare. Un vezzo, ma molto efficace in campo.
Sócrates nel 1974 è al Botafogo di Ribeirão Preto con cui divenne un giocatore importante segnando in quattro anni oltre un centinaio di reti, attirando su di sé le attenzioni delle squadre più importanti del paese.
Nel 1978 il salto di qualità accettando l’offerta del Corinthians. Tra il 1978 e il 1984, Sócrates divenne idolo supremo del Timao, insieme ad una generazione di calciatori che lasciò il segno, non solo a livello calcistico, come Biro Biro, Wladimir, Walter Casagrande, Zenon e Palhinha. Con i bianconeri vinse tre campionati dello Stato di San Paolo (1979, 1982, 1983). Nel 1983 successe a Zico nell’albo d’oro di migliore giocatore sudamericano.
E pensare che il rapporto iniziale tra Sócrates, il Timao ed i suoi tifosi non fu positivo, dovuto al fatto che il giocatore era considerato troppo sui generis visto anche il suo impegno politico. Ma tra il 1981 ed il 1984, Sócrates fu tra i promotori di un qualcosa che fino ad allora in Brasile era impensabile: una squadra di calcio interamente autogestista. Teniamo presente che in quel periodo in Brasile erano al potere i militari e ogni velleità di democrazia ed inclusione era vista come fumo negli occhi. L’idea del Corinthians era quella di creare una sorta di democrazia cui tutti dovevano sottostare, ma cui tutti dovevano dire la propria idea senza nessuna ritorsione. Nasceva la Democrazia Corinthiana, ovvero il Timao era diventato uno “Stato” dove erano i giocatori a farlo funzionare: ogni idea proposta veniva votata tra i giocatori, lo staff tecnico ed il personale non tecnico e se otteneva la maggioranza dei voti veniva adottata. Si votava su tutto: ritiri, orari allenamenti, investimenti, ingaggi, premi partita. Per uno come Sócrates, non poteva esserci una soluzione migliore: la politica applicata al calcio.
Sócrates era il leader di quella squadra, era amato da tutti e divenne un mito. Tanto che nel Mondiale di Spagna 1982 il Brasile, grazie anche ad una nidiata di talenti purissimi, si presentò in Spagna con i crismi della favorita grazie anche al terzo posto nella Copa America 1979, dove i verde-oro arrivarono terzi e senza Cile e Paraguay (secondo e primi) qualificati, erano tra i favoriti. Di quella Nazionale 1982 (raffigurata in un celebre murales di Rio), Sócrates, soprannominato “dottore”, “magro”, “tacco di Dio” ed “Il tacco che la palla chiese a Dio”, era il capitano di quella squadra e di quella generazione.
Il Brasile fu inserito nel girone con Urss, Scozia e Nuova Zelanda. Ovviamente passò il turno e nella seconda fase a gironi fu inserito con i campioni del Mondo uscenti dell’Argentina guidati dall’allora 21enne Diego Armando Maradona e l’Italia di Bearzot, terza al Mondiale quattro anni prima, quarta all’Europeo casalingo di due anni prima ma che era una squadra che aveva superato il suo girone solo per aver fatto un gol in più del Camerun.
L’Argentina non sembrava un ostacolo insormontabile, l’Italia (secondo i brasiliani) era quella che era e quindi la semifinale era, secondo loro, dietro l’angolo. I verde-oro vinsero 3-1 con l’Albiceleste e persero contro gli azzurri. Contro Zoff e compagni, Sócrates segnò il gol del momentaneo 1-1. Brasile fuori e un Paese in ginocchio (calcisticamente). Sócrates è comunque il simbolo del Brasile ‘82, considerata una incompiuta del calcio mondiale come l’Ungheria nel 1954 e l’Olanda nel 1974.
Per Sócrates il 1984 poi fu l’anno in cui prese un aereo e approdò in Europa e giocò nell’allora miglior campionato di tutti, la nostra Serie A: il nostro campionato non solo era il torneo dei campioni del Mondo, ma anche quello dove si giocava il calcio più bello e molti protagonisti (stranieri) del Mondiale 1982 avevano optato per il nostro campionato. Visto il parterre de roi, la stagione 1984/1985 è considerata ancora oggi come la più competitiva di tutte. I nomi stranieri di spessore di quel campionato? Dagli argentini Maradona, Passarella e Bertoni ai tedeschi Briegel, Rummenigge e Muller; da Platini ai polacchi Boniek e Zmuda; da Hernández a Barbadillo; da Schachner agli inglesi Wilkins e Francis ai brasiliani Cerezo, Zico, Falcao, Edinho, Joao Batista, Junior e Dirceu. E per una cifra di poco superiore ai 5 miliardi di lire, anche Sócrates si aggiunse al gruppo di campioni emblemi dei futebol bailado che militava alle nostre latitudini, diventando un giocatore della Fiorentina.
La stagione di Sócrates però fu molto sotto le aspettative: dopo 33 presenze e nove goal complessivi, di cui sei reti in Serie A, a fine stagione il “dottore” gettò la spugna, capì di aver fallito e decise di tornare a riabbracciare il calore del Brasile. Furono tanti i fattori del fallimento del brasiliano: la saudade, un campionato difficile, uno stile di gioco diverso, uno stile di vita per nulla da atleta. Ma soprattutto la fatica perché Sócrates non era uno cui piaceva molto faticare.
In Brasile firmò per due anni con il Flamengo (e fu convocato per il Mondiale messicano del 1986) e poi chiuse la carriera nel Santos. Sócrates si ritirò nel 1989, anno in cui in Brasile tornò al voto democratico dopo anni. Si diede all’opinionismo calcistico ma soprattutto iniziò a fare il medico, aiutando i bambini in difficoltà aprendo una clinica nella sua cittadina, Ribeirão Preto. Non abbandonò mai il calcio, tanto nel 2004 ritornò in campo nella maniera più assurda: una manciata di minuti nel match tra il Garforth Town ed Tadcaster Albion in una serie dilettantistica (molto dilettantistica) inglese. Anche lì i tacchi si sprecarono, come non si sprecarono i giudizi negativi verso quell’ormai cinquantenne con la barba ed i capelli grigi.
Ma allora si fece più complicato il suo rapporto con l’alcool, un problema che si portava dietro da tanti anni insieme al fumo: Sócrates, il 3 dicembre 2011 fu ricoverato per un’infezione intestinale ed il giorno morì. Aveva 57 anni.
Essendo stato un calciatore mitico, anche la sua morte fu mitica: nel 1983, un giornalista gli chiese quale sarebbe stato il suo sogno ed il “dottore” disse che gli sarebbe piaciuto morire di domenica con il Corinthians vincitore del titolo nazionale. Va da sé che proprio domenica 4 dicembre 2011 il Timao vinse il suo titolo nazionale numero cinque. Tifosi bianconeri in festa e tutti a rendere omaggio alla tomba del loro “dottore”.
Cosa è stato Sócrates? Calcisticamente è stato dotato di ampia visione di gioco, di tecnica elevata, un buon fiuto del gol, di un tiro potente ma fuori dal campo fu un ribelle ed un eccentrico, un anticapitalista, uno schierato molto politicamente che grazie alla sua cultura e alla sua saggezza fece capire al Mondo che chi giocava a calcio non doveva essere per forza uno stupido ed un ignorante. Insomma, rivalutò il concetto di “calciatore”.
Questa è stata la storia di Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira detto Sócrates, il calciatore più impegnato politicamente della storia del calcio che ha dato un senso al futebol bailado. Un uomo a metà tra rivoluzione e utopia che ha vissuto la vita tra futebol e politica come nessuno altro al Mondo.
E’ stato bello, Dottore. Molto bello. Grazie di tutto. Peccato che tu non abbia potuto vincere la tua partita più importante.
- "Socrates (futebolista) participando do movimento político Diretas Já" Jorge Henrique Singh - Opera propria. Con Licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.
- "Fiorentina, 1984 - Claudio Gentile, Daniel Passarella e Sócrates" - Pubblico dominio tramite Wikipedia