Lo so. Lo so. State vedendo le mie fotografie e un sorriso è affiorato sulle vostre labbra. Questo mi fa molto molto piacere. Sono contento quando la gente ride, vuol dire che si sente bene. O che è ubriaca. O tutt’e due! Richie Cunningham. Vero! Ridete perché l’avete pensato. Il giovanotto della serie TV americana Happy Days. Non posso proprio darvi torto. Devo dire che mi somiglia tanto.
I miei avversari ridere non ridevano però. E quelli che mi hanno visto calcare i campi di calcio hanno ancora negli occhi le mie giocate, ammaliati dalle mie scorribande sulla fascia. Una volta durante la partita celebrativa per Alfredo Di Stefano i tifosi del Real Madrid gridavano un olé per ogni dribbling che facevo. Si sono sgolati.
Piccolo. Sono alto un metro e cinquantacinque, quindi sì, sono decisamente piccolo. I capelli rosso fuoco. Lo scatto fulmineo e il dribbling secco. Mica per niente ero “The Lord of the Wing!”, il signore dell’ala. Mi chiamo James Connelly Johnstone. Per gli amici sono Jimmy. Per tutti semplicemente Jinky!
Sono nato il trenta settembre del millenovecentoquarantaquattro a Viewpark, un piccolo villaggio nel cuore della Scozia. Mi hanno raccontato che era un giorno piovoso ma in Scozia di giorni così ce ne sono tanti. Troppi. Sono nato in una famiglia cattolica, e questo in Scozia invece fa la differenza. O si è cattolici o si è protestanti in Scozia. Questo calcisticamente equivale a dire una cosa: o si è tifosi del Celtic o dei Rangers. Grosso modo è così. Politica, cultura e religione sono intimamente legate al gioco del calcio.
Da bambino passavo ore e ore a giocare per strada o nei parchi, da solo o con altri ragazzi. All’età di otto anni sono ancora un po’ timido e il maestro di scuola John Crines, per aiutarmi, mi dice: “Piccolo diavoletto, perché non provi a giocare con la squadra della scuola?”. Con la scuola in quel periodo giocavano tantissimi tornei, in uno di questi andammo a Manchester e in quell’occasione ho conosciuto il mio mito, Sir Stanley Matthews. Ero rapito dalla sua abilità con la palla, il mio desiderio era migliorare per avvicinarmi alla sua perfezione. Così una volta tornato a casa mi venne un’idea: allineare dozzine di bottiglie di latte e dribblarle con il pallone, una, due, dieci, cento volte. Non riesco a ricordare quante volte l’ho fatto.
Di sicuro deve aver funzionato però, perché il cappellano della scuola, Frank Cairney, tifoso sfegatato del Celtic, si mise in contatto con un suo amico osservatore. Così venni invitato ad andare con loro due sere a settimana. E per un anno intero, per due sere a settimana, mi sono allenato con The Bhoys, fino al debutto con la squadra riserve, contro il St Johnstone nel millenovecentosessantuno. Quattro a due vincemmo. Feci una rete e tre assist. Mica male! Crescevo proprio bene.
Al Celtic ho aspettato due anni prima dell’esordio in prima squadra. E quand’è arrivato il momento non è che sia stato un granché bello. Contro il Kilmarnock perdemmo sei a zero! E poi perdemmo quattro a tre contro gli Hearts. Diciamo che le cose non andavano proprio bene.
Poi, nel millenovecentosessantacinque, è arrivato Jock Stein. Jock era un grande allenatore e un grande tattico, ma il suo vero talento era nel capire le persone. Se avevi un problema, se il gatto ti era scappato, beh, Jock lo sapeva! Per me poi era come un padre. Proprio! Non sono mai stato a mio agio nell’essere una persona famosa e questo malessere lo affogavo al pub. Giusto qualche pinta. Jock aveva creato una rete di informatori fra i supporter del Celtic che lo avvisavano appena ne bevevo una di troppo. In qualsiasi locale io fossi, il telefono squillava e all’altro capo della cornetta c’era lui.
Sotto la sua guida e con me in campo il Celtic divenne una delle squadre più rispettate d’Europa! Alla fine per il Celtic ho giocato la bellezza di trecentootto incontri, dal millenovecentosessantatre al settantacinque, realizzando ottantadue reti. Per un’ala sono tante!
Nell’Ottobre del sessantacinque vincemmo la finale di Coppa di Lega contro i rivali di sempre, quelli dei Rangers. In uno dei tanti Old Firm. I derby di Glasgow sono in Scozia come i giorni di pioggia. Tanti! Li feci letteralmente impazzire. Finì due a uno per noi è durante il giro di campo con la Coppa i sostenitori dei Rangers invasero il campo. Dannazione a loro, dovemmo lottare per lasciare il campo sani e salvi e con la Coppa! Vi avevo già avvisato che calcio, politica e religione a casa mia sono una cosa seria!
Nel Maggio dell’anno seguente arriva finalmente il titolo di campione di Scozia. Mancava da dodici anni, e fu il primo dei nove consecutivi che ho vinto! Avevamo così la possibilità di giocare la Coppa dei Campioni. Dopo una partita contro i francesi del Nantes i giornali transalpini mi soprannominarono “Flying Flea”, la pulce volante. Ma non è finita mica lì. Siamo arrivati diritti alla finale di Lisbona, e ad aspettarci c’era l’Internazionale di Milano.
Quella sera con i miei dribbling e la mia velocità li ho fatti ammattire! Mi marcava Burgnich mica uno qualunque, un osso duro. Ma io ero più duro di lui. Passammo in svantaggio quasi subito e devono aver pensato fosse una passeggiata dopo il rigore segnato da Mazzola, e invece li battemmo per due a uno. La Coppa dalle grandi orecchie la portammo con noi, la prima squadra britannica a vincerla!
Avevo una paura fottuta di volare. Anche questo non vi avevo detto. Durante una partita di Coppa Campioni del sessantanove affrontavamo la Stella Rossa di Belgrado al Parkhead e alla fine di un primo tempo bruttino Jock si avvicina e mi dice: “Ragazzo, se vinciamo la partita con tre reti di scarto non ti ci porto a Belgrado.” Ero una Pasqua. Vincemmo per cinque a uno! Realizzai due reti e propiziai le altre tre. I goal di scarto furono quattro e la bevuta al pub, beh quella l’ha offerta Jock.
Cheers.
- Jimmy Johnstone "Jinky" --Best goals and skills-- - via YouTube