La vita felice dei bomber di provincia

Massimo Palanca

Massimo Palanca - Catanzaro 1979-80

Non si ricordano i giorni. Si ricordano gli attimi.

Di quel pomeriggio del quattro marzo millenovecentosettantanove difatti ricordo gli attimi.

Siamo a Roma, sul prato dello stadio "Olimpico".
Ci aspetta la partita con la Roma. Certo non è la Roma che conosciamo oggi, ma ci gioca sempre gente importante, da "Picchio" De Sisti al bomber Roberto Pruzzo al grandissimo "Ago" Di Bartolomei. Che gran bella persona era Ago. Possa riposare in pace.

Il Catanzaro, la squadra per cui gioco, si trova difronte una partita molto complicata. D'altronde mister Carletto Mazzone ci ha avvertito, dobbiamo fare molta attenzione, soprattutto in fase difensiva e, quando possibile, ripartire in contropiede.

Oggi si direbbe fare densità in mezzo al campo e orchestrare veloci ripartenze. Cambia la forma, non certo la sostanza!

Un carattere eccezionale quello del mister. Quando c'era da alzare la voce lo faceva senza problemi, e s'incazzava sul serio! Quando c'era da complimentarsi con qualcuno lo faceva apertamente. Non ho mai sentito calciatori parlar male di mister Mazzone.

In più è un grande conoscitore di calcio, tifoso sfegatato della Roma, ma la partita l'ha preparata benissimo, non vuole perdere e magari sotto sotto spera di vincere, vuole dimostrare che una squadra come la Roma può allenarla. Gli hanno dato solo panchine di provincia, laddove una salvezza equivale ad uno scudetto.

Comunque sappiamo cosa fare. Ora tocca a noi, che in campo dobbiamo andarci.

È il quinto minuto del primo tempo, e ci viene assegnato un calcio d'angolo, sotto la Curva Nord. Prendo il pallone e lo posiziono nella lunetta. Verso la parte esterna. I corner li batto io che sono mancino e ho il piede piccolo, calzo il trentasette, e ho pure il vizietto di tirare direttamente in porta. Ma questo lo sapevano tutti. Durante la partita d'andata a Catanzaro ho fatto la stessa cosa. Però un giocatore della Roma appostato sulla linea di porta ha sfiorato appena la palla, che sarebbe entra in porta lo stesso, e invece di dare il goal a me hanno assegnato l'autorete. Era tutto diverso prima, d'accordo, ma non mi era proprio andata giù. Così prendo la rincorsa e calcio forte a giro. Ne viene fuori, come quasi sempre, una traiettoria perfetta, con la palla che disegna un arco discendente e gonfia la rete. Pronti, partenza, via! Alzo lo sguardo esultante verso il cielo e sul tabellone luminoso dello stadio compare la scritta: Roma zero. Catanzaro uno. Marcatore Massimo Palanca. Quel pomeriggio ho esultato altre due volte, altre due volte ho letto il mio nome sul tabellone luminoso. Roma uno. Catanzaro tre. Palanca. Palanca. Palanca.

Che domenica meravigliosa.

In quell'occasione mister Mazzone i complimenti me li ha fatti. Eccome!

Ecco ora lo sapete, il mio marchio di fabbrica era segnare direttamente dalla bandierina del calcio d'angolo, e vi garantisco che non è facile per nulla. In totale ne ho segnati tredici tra Serie A, B e C, ma potevano essere molti di più se non ci fosse stata la storia degli autogoal.

I portieri avversari lo sapevano che tiravo forte e a giro. Nonostante tutto erano sempre in apprensione, tiri del genere ti mettono sempre in difficoltà. Poi nell'area di rigore c'era sempre molto traffico e noi posizionavamo un compagno di squadra, Claudio Ranieri, davanti al portiere. Con Claudio abbiamo condiviso sette anni al Catanzaro. Aveva una bella stazza, saltellava davanti al portiere per disturbarlo. Un piccolo trucco per aumentare la tensione. Ogni tanto ha funzionato.

A Catanzaro ci ho passato tutta la mia carriera, fatta eccezione per la sfortunata parentesi partenopea. Catanzaro per me è tutto. "Sono un povero diavolo, vivo alla giornata, in provincia, lontano mille chilometri dai grandi centri. Ma la sera quando me ne vado a casa, Catanzaro diventa Parigi, Roma, New York. Sarò un po' matto ma è così". Non solo la squadra di calcio ma anche e soprattutto la città, la gente. Il loro affetto era ed è sempre intatto nei miei confronti, da quelle parti sono "O Rey", il re di Catanzaro. Mi hanno amato per la mia integrità, perché non mi sono mai sopravvalutato e questo mi ha aiutato a restare semplice, proprio come la gente che veniva allo stadio e mi cantava: "Massimè, Massimè, pari 'na molla, pari 'na molla…"

Ma, ad essere onesti, fatemelo dire, anche se vi sembrerò presuntuoso, il complimento che mi ha reso più orgoglioso è stato quello di Sandro Ciotti, giornalista sportivo sarebbe riduttivo per lui, era un finissimo intenditore di calcio. "Uno dei migliori piedi sinistri d'Europa" ebbe a dire.

Con la maglia giallorossa del Catanzaro ho disputato undici stagioni: se non sono una bandiera, quasi! Era il mio ambiente naturale, la tranquillità della provincia un ambiente che ti sostiene e che ti fa sentire a proprio agio a livello sportivo e anche fuori dal campo. Quello che mi è sempre piaciuto di quella piazza, e del calcio di provincia in generale, è il fatto di sapersi accontentare, anche solo di una giocata superlativa, anche solo di una vittoria di prestigio. Vincere contro una squadra che ha a disposizione più mezzi economici viene visto un po' come una sorta di riscatto sociale. Vedere un giocatore fare qualche magia in campo e poter dire, con orgoglio: "Palanca ce l'abbiamo noi!" Quanto devono essere stati orgogliosi di noi dopo la vittoria contro la Roma!

Vito Chimenti

Vito Chimenti - Catanzaro 1979-80

Vaffanculo!

È un offesa, certo. Ma quel "vaffanculo" di cui Sauro Catellani, stopper del Napoli, mi omaggia durante l'esordio con la maglia rosanero del Palermo alla "Favorita", è per me un gran complimento.

Il Palermo affronta appunto il Napoli, ad un certo punto dell'incontro ricevo il pallone da un compagno e parto palla al piede. Sono veloce palla al piede. Mi si presenta davanti Catellani che vuole fermarmi, invece, hop, gli faccio la bicicletta. Resta di sasso, come congelato sul posto. Io proseguo verso il fondo, tiro in porta, che ho pure un bel tiro forte, e segno!

Esordio migliore non si può desiderare.

In quella partita ho segnato anche un'altra rete, ma poi il Napoli ha vinto lo stesso, negli ultimi sei minuti di gara. Vi confesso che negli spogliatoi ho pianto. Alcuni hanno detto per la rabbia della vittoria svanita negli ultimi minuti. Altri hanno detto per la gioia di un esordio così convincente. In realtà vi dico che piansi per aver perso il premio partita!

Mi chiamo Vito Chimenti, e sono nato nella città di Bari, ma mi conoscono tutti come "il bomber della bicicletta".

La bicicletta è un gesto tecnico meraviglioso. Non ho visto nessun altro fare un dribbling come il mio in carriera. Vito Chimenti - La bicicletta

Al cinema si l'ho visto. Ma l'avrete visto di sicuro anche voi. In un film americano, "Fuga per la Vittoria", ci riesce un piccoletto stempiato con la maglia numero tre, è Osvaldo Ardiles. Lui un campione del mondo, io un bomber di provincia. E la provincia calcistica italiana, vi assicuro, l'ho battuta tutta, da Pistoia a Catanzaro, da Salerno ad Avellino, da Taranto a Palermo.

Ma torniamo alla paternità della "bicicletta", vorrei partire da un presupposto, e cioè che lui, Ardiles, lo ha fatto per il cinema, io lo facevo in campo, in partite vere e contro giocatori veri. Comunque questo tipo di dribbling consiste nell'alzare il pallone in corsa, trattenendolo a tenaglia tra i piedi e alzandolo poi con il tacco in modo da scavalcare il proprio avversario con un pallonetto.

Lo so, lo so. È più facile a fare che a dire. Ma pure voi metteteci un po' d'immaginazione.

Di reti ne ho segnate tante, beh abbastanza, diciamo. Però una meglio delle delle altre me le ricordo. Alla Juventus. Per un attaccante segnare contro la Juventus era il massimo. Significava affrontare la miglior difesa, quindi segnare contro di loro voleva dire essere forti!

È stato in una finale di Coppa Italia, quando a sorpresa il Palermo, che allora militava in Serie B, raggiunse la finale contro la "Vecchia Signora" del calcio italiano. Passiamo subito in vantaggio grazie ad una mia rete, da vero opportunista spingo in porta una palla vagante sotto gli occhi di Zoff. Cosi chiudiamo il primo tempo in vantaggio. Solo che nella ripresa io non ci sono, non torno in campo. La partita la vince la Juventus per due a uno ai tempi supplementari. Brio e il "Barone" Causio.

Gliel'abbiamo fatta sudare quella vittoria però.

Quel Palermo messo insieme da mister Veneranda, fatto da giocatori provenienti in maggior parte dalla Serie C, era davvero una gran bella squadra, solo che loro erano davvero forti. La mia uscita dal campo alimentò molti dubbi, come al solito nel nostro "Bel Paese". In Italia lo sport preferito è il complottismo mica il calcio. Bisogna ad ogni costo trovare qualcosa di strano o quantomeno poco chiaro. Beh io in campo non sono tornato perché avevo un ginocchio gonfio come un melone. Un regalino di Cabrini. Il "Bell'Antonio" sarà pure stato bello, ma da difensore randellava che era un piacere, non aveva nulla da invidiare a Gentile, Cuccureddu, Benetti o Morini!

Altro che complotto!

Comunque, alla fine, sapete cosa vi dico, quel vaffanculo di Catellani è stato davvero un gran bel complimento!

Fotografie e video
  1. Massimo Palanca via Youtube
  2. "L’uomo della bicicletta. A Palermo ti chiedevano: “U sa fari a Chimenti ?”" tramite Il Nobile Calcio