Il pareggio non esiste

Ezio Glerean

Ezio Glerean

Difensore, San Michele al Tagliamento, 27 giugno 1956

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San Michele al Tagliamento è terra di confine, solo un ponte la divide da Latisana, Friuli, e dalla voragine balcanica. A sud c’è l’Adriatico, ad est la pianura che porta a Venezia, un’ottantina scarsa di km, sembra così lontana. A nord tutto il resto. Qui la maggioranza delle persone parla una variante addolcita del friulano benché ci si trovi ufficialmente in Veneto. La parlata veneta viene usata perlopiù per sdrammatizzare una certa seriosità innata da queste parti. Come ad esaltare il momento finale, quell’attimo in cui c’è bisogno di farsi capire da tutti, uscendo trionfalmente dal discorso con una battuta, accennando un sorriso, finalmente.

Ezio Glerean non ride. Il sorriso lo accenna, lo può prolungare, ma non sfocia mai in qualcos’altro. L’ho incrociato un paio di volte, sapevo chi fosse, lo seguivo su twitter (“ciao a tutti! Preciso che questo profilo rappresenta la mia unica presenza sui social”). Come non ammirarlo, è l’unica gloria paesana di San Michele al Tagliamento. I capelli perfettamente arruffati, gli occhi fermi con cui squadrare con ostinazione l’orizzonte. Ha l’aria imperscrutabile da pensatore silenzioso e tante altre leggende di cui si vagheggia, ma di una cosa sono certo: non l’ho mai sentito ridere. E la differenza la fa tutta quel “sentito”. Certo, ride, ride, semplicemente non emette alcun suono. Perché togliendo l’audio alla vita di Ezio Glerean ci ritroveremmo di fronte a tutt’altro film. Non un film muto, tutt’altro.

Alcune vite sono circolari. Tutto sembra tornare, l’inizio e la fine, il trionfo e la caduta, ma ci arriveremo. Per ora teniamo a mente il nome di una squadra: la Marosticense. Ezio Glerean è stato, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, un giocatore discreto, un difensore essenziale. Si muoveva leggermente sgrammaticato, a scatti, come se fosse impossibile filmarlo. Pochissimi fotogrammi al secondo. Non capisci se perché è troppo veloce o perché ha semplicemente un altro ritmo, perché pensa prima di tutti gli altri e sia impossibile catturarlo visivamente. La carriera da allenatore è inevitabile, con una testa così. Marosticense si diceva, la seconda tragica categoria. Due campionati, due promozioni. Glerean già scalpita e vive di entusiasmi mentre si guarda attorno e appunta tutto.


Il Molosso: Ma quando io le parlo in allenamento lei a cosa pensa? A quelle quattro mignotte che si va scopando tutti i giorni?


Ma manca qualcosa. Decide allora di andarsene in Olanda per qualche mese. La moglie è di Amsterdam, la scusa è bella e pronta, in qualche modo riesce ad infilarsi agli allenamenti dell’Ajax. Studia gli ultimi fasti degli arcieri, prende appunti, pensa e ci ripensa, fin troppo. Sono solo le ceneri del calcio totale di Rinus Michels, certo, ma è la dispensa che Glerean cercava e su cui costruire e plasmare le basi di un nuovo piccolo modo di interpretare il calcio. E’ il 1990 e le notti magiche di Glerean hanno i colori e le abbaglianti luci dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Calcio Caerano 1956, campionato interregionale, quando si dice letteralmente una buona palestra. Le voci si rincorrono e Glerean viene intercettato dal Bassano che, benché siano ancora di là dal venire i fasti della bislacca presidenza Renzo Rosso, ne intuisce la voracità e le ambizioni, non è una favola, e dagli spogliatoi, escono i ragazzi e siamo noi. Ciò che emerge è l’abbozzo di un’idea di calcio mobile e istintivo, allenamenti di testa e pancia e cuore, i muscoli arrivano dopo. Manca solo l’illuminazione. Arriverà un ottimo quinto posto al secondo campionato dopo un primo di rodaggio - ci vuole tempo per le rivoluzioni romantiche, non si improvvisano. Ma è già ora di cambiare aria.


Il Molosso: Becchi uno come Platini, lancio lungo, difesa saltata. Oppure becchi uno come me, e tu la partita la perdi.


I suoi nuovi cavalieri hanno nomi che trasudano triveneto e sostanza da tutti i pori: Caverzan, Zanon, Soncin, Giacomin, Polesel, sanno letteralmente di un calcio fatto in casa, a lenta cottura e mestierante, eppure sono i suoi Cruijff, i nuovi Rensenbrik, i Van Hanegem che Glerean cercava da una vita e che si trascinerà nei migliori anni della sua vita. Ora il credo di Glerean è una nuova declinazione del famigerato testa bassa e lavorare. Il sacrifico certo (“ bisogna allenare il cuore prima dei muscoli ”), ma anche una totale devozione al Dio gioco e alle sue ferree regole, il tutto combinato all’imposizione di una certa autogestione che richiede testa sgombra e basso profilo, siam qui per giocare, oggi si direbbe un motivatore. I tempi sono quasi maturi e il San Donà è la piazza giusta e lo brama con una certa insistenza e a Glerean piacciono le attenzioni benché non lo faccia vedere. Una volta trovati gli uomini giusti - i cui cognomi finiscono quasi tutti con una consonante - il tecnico veneto può finalmente perfezionare la sua idea di gioco. Glerean e la sua malinconia da uomo verticale riportano la squadra veneta in C2 dopo 42 anni. Al Zanutto si fa festa, ma il mondo da qui sembra soltanto una botola segreta, tutti vogliono tutto, per poi accorgersi, che è niente, ma i migliori anni della sua vita sono già lì, a portata di mano.

C’è una curiosa coincidenza. Quando il Cittadella sta per iniziare il secondo campionato di serie B della sua storia, quello della conferma, quello più difficile - una sconfitta giocata bene fuori casa, a Cosenza - viene presentato alla Mostra del Cinema di Venezia (sezione Cinema del Presente) L’uomo in più, il primo lungometraggio di Paolo Sorrentino. In linea d’aria sono una cinquantina di km. Sullo schermo della Sala Darsena l’allenatore passa le sue giornate sul tavolo verde mentre sfocato, al di fuori di lui, il suo mondo lo abbandona - il suo mondo lo rinnega, la moglie lo tradisce, fatica a riconoscere i sentimenti. Ma è ostinato. Sposta gli uomini, cambia angolazione, gli occhi a filo tavolo, parla da solo, ripete nella sua testa che “non sappiamo fare un cazzo, sappiamo solo giocare a pallone ”. E’ l’ex calciatore Antonio Pisapia, uno dei due protagonisti omonimi de L’uomo in più, aspirante profeta del calcio, rivoluzionario incompreso risucchiato dalla depressione. Ad interpretarlo gli occhi e i baffi di Andrea Renzi. Vi ricorderà qualcuno.

Lo sguardo di Glerean ha una caratteristica unica. Sembra dire, domandami qualcosa solo se proprio devi, altrimenti lasciami fare. Potrebbe essere travisata come mera arroganza, ma si tratta dell’opposto: di esasperante tranquillità. Non traspira emozioni, non le trasmette - che siano negative o positive - al giocatore. Il calciatore deve solo sapere che a) giochiamo a zona, i difensori dovranno essere bravi nel gioco aereo e feroci nell’uno contro uno, b) la difesa è sempre alta fino a mio contrordine, il fuorigioco la nostra legittima difesa, c) pressing avanzato così da far respirare la squadra quando è necessario, la nostra arma bianca, d) quattro punte mobili, si muoveranno a rombo così da facilitare triangolazioni e fraseggi stretti, e) il fallimento è una possibilità e va considerata, f) nel calcio bisogna farsi vedere e io questo non lo fare. Le ultime due sono di Antonio Pisapia, ma non sono così lontane dal credo di Glerean.

Dopo l’introduzione del calcio a zona non c’è più spazio per i timidi in questo sport, e Glerean al Cittadella esce allo scoperto proponendo al mondo intero il suo 3-3-4 (leggetelo al contrario, provateci) nella forma più radicale, le condizioni ci sono tutte. Tre difensori, tre mediani a fare muro e solo quello così da permettere ai quattro là davanti, rigorosamente in linea, di pensare solo a contrattaccare, con le due ali a farsi tutta la fascia o poco meno, due polmoni. La differenza la fanno gli uomini d’attacco. Tutto è al contrario nel mondo di Glerean, l’attacco dev’essere l’unica difesa, la difesa il primo attacco. L’uomo in più è il 10 che alla bisogna si trasforma in falso nueve, una vera e propria seconda punta. Qualcosa di eretico nella patria del prima non prenderle e palla lunga.


Antonio Pisapia: Non perdo, perché i miei giocatori corrono più dei tuoi. Fanno le ripetute. Per correre 90 minuti ad un certo ritmo bisogna allenare il cuore prima dei muscoli, sono i principi dell’aerobica. Il Molosso: E a centravanti chi gioca, Jane Fonda?


Lo spettro di una piccola rivoluzione si aggira nel nord-est. E’ la fine del mondo per una cittadina di 20 133 abitanti immusonita dai venti leghisti e assopita dal benessere economico che si respira ovunque. Gli occhi del presidente Piergiorgio Gabrielli sono lucidi, ha trovato l’allenatore giusto per le sue smisurate ambizioni. Un allenatore giovane, affamato, local che si trascina dietro alcuni fedelissimi scudieri dal San Donà: il difensore Davide Zanon, i mediani di guerra Andrea Caverzan e Giulio Giacomin, il resto lo farà l’uomo in più. E’ l’estate del 1996 e il Cittadella è ancora impantanato in C2. La prima stagione è una seduta di allenamento. La seconda è già trionfale. Secondo posto nella stagione regolare. E dopo l’abbuffata di 52 reti Glerean pensa al sodo per ottenere la promozione - dei playoff austeri, basterà un solo gol con Albanese e Triestina. L’Italia calcistica ammira sgomenta la venuta di Glerean, non sono più solo La Nuova Venezia e Il Mattino di Padova a portarlo in trionfo, se ne accorge l’Empoli che galleggia in serie A e lo cerca con una certa insistenza. Glerean apprezza, ringrazia ma rifiuta, “ci arriverò con il Cittadella, nella massima serie”. Un progetto da portare avanti, certo, ma è una scelta che ricorda quella di Stefano Polesel - uno dei quattro cavalieri là davanti del San Donà - che dopo una stagione trionfale in C rinunciò al triplo salto mortale con il Cagliari. Se non sono questi gli ultimi romantici del calcio, chi.


Antonio Pisapia: Albè, tu giochi ancora catenaccio e contropiede! Il Molosso: Antò, il Molosso con catenaccio e contropiede ha vinto due scudetti e tre coppe Italia! Antonio Pisapia: Dieci anni fa, dieci anni fa.


Altro anno di ambientamento in C1 per poi confermarsi serial killer nei playoff dell’anno successivo - conquistati grazie al secondo miglior attacco. Finale per la serie B con il Brescello dell’indimenticato Max Vieri. Bentegodi di Verona, giornata di pioggia, terreno scivoloso. 4486 spettatori. Partita ferma, di lotta e di sgomitate. Un pareggio premierebbe il Cittadella in virtù del miglior piazzamento in stagione. 41’ del secondo tempo, fallo di mano in area padovana, rigore per il Brescello: Vieri spiazza Capecchi. La rivoluzione glereaniana va a farsi benedire. Palla lunga e tutti in aerea. Sono dieci minuti intensissimi, è giugno ma si gela. La spunta al 51’ in mischia Mazzoleni, una mezza rovesciata da terra mentre viene trascinato giù da Sardini. Tutti in campo. Glerean sorride e poco più.


Il Molosso: Antò, nella stronza vita può succedere di tutto. Antonio Pisapia: Sarà… ma a me non succede mai niente.


Il tempo è la sostanza, la costante di questa piccola storia. Del tempo ne risente la parlata di Glerean, si prende sempre un attimo prima di rispondere, non urla quasi mai, fa un uso sapiente delle pause. C’è bisogno di tempo per mettere in pratica la sua idea di gioco, non è certamente un caso che le sue squadre abbiano dato il meglio sempre e solo alla seconda stagione nella stessa categoria. O che sia subentrato solo due volte. Ci vuole tempo per plasmare un gruppo in una squadra. Lo sapeva Glerean, il problema in Italia è il tempo a disposizione. Non c’è. E poi bisogna adeguarsi alla categoria contro cui si va a sbattere. E per Glerean la serie A era troppo. O forse era poca cosa la serie A per Glerean.

Due anni in serie B con il Cittadella, un dignitosissimo quattordicesimo posto il primo, la retrocessione, pure immeritata, l’anno successivo. Ma sembrava poter spiccare il volo, Glerean, la chiamata del Palermo, regina annunciata della serie B. Durò una giornata alla corte di Zamparini - da segnalare un buon precampionato e la vittoria in Coppa Italia contro il Chievo. Semplicemente non era né il tempo né il luogo. E Sorrentino lo aveva intuito che non s’aveva da fare, le cose sarebbero finite male, era scritto. Agli occhi di tutti il fallimento. Agli occhi di Glerean e Pisapia: resistenza, ognuno a modo suo. Intransigente nel caso di Pisapia che la fece finita - e fu una sorta di vendetta, di egoistica vendetta verso il mondo che l’aveva rinnegato - con Il Molosso, il suo mentore, che non ce la fece a trattenerlo, a consolarlo.

Sorrentino gioca con il dolore e la morte, le coccola e le consola, le rende parte ineluttabile della vita. Rimane la solitudine dello sguardo di Pisapia, quella che portò Glerean a reagire in modo diverso, da uomo che si è fatto da solo, da allenatore che riconosce e ammette il gusto della sconfitta. Ci provò con il Venezia, Padova e Cosenza. Non funzionò. E fu così che Glerean, così circolare nella sua vita, imboccò la via del ritorno a casa. Si prese un periodo per pensare. Si appartò. Dieci anni fuori dal calcio professionistico costituiscono una condanna a morte per un allenatore. Si mise a scrivere, un libro “Il calcio e L’isola che non c’è: un libro per allenatori, genitori…” che illumina il suo silenzioso ritorno alle origini che culminerà con il Progetto Giovane Italia al Sassuolo con un solo obiettivo: restituire ai giovani ciò che è stato loro tolto dall’avidità dei genitori. Riprende le reazioni dei genitori durante gli allenamenti dei ragazzi, poi mostra loro le registrazioni, così capiranno. Ha ancora un’idea di gioco del calcio, un’idea, un gioco. Riparte dal basso, dalle origini.


Il Molosso: Antò, nella stronza vita può succedere di tutto. Antonio Pisapia: Sarà… ma a me non succede mai niente.


Fine anni dieci. Enzo Glerean rinuncia al procuratore, tutto inutile. Non ha mai avuto un Molosso, un allenatore che gli facesse da faro, ma ha lasciato tanti eredi, un nome a caso, Rolando Maran e il suo Cagliari. Decide di ripartire, ma non c’è voglia di riscatto, né di rivalsa. Da dove se non dalla Marosticense. Da qui potrebbe ricominciare tutto di nuovo, daccapo. O potrebbe essere la fine di tutto. Tornano in mente le parole del presidente che ostinatamente continuava a rifiutare l’uomo in più di Pisapia: il calcio è un gioco e tu sei un uomo profondamente triste. Ma a Glerean poco importa. Subentra il primo anno, la Marosticense retrocede. Si riparte dall’Eccellenza. Al momento è terzo in classifica, promette bene. Fallire ancora, fallire meglio, diceva qualcuno.


Penso che questo nostro gioco del calcio così com’è non vada bene proprio a nessuno in questo nostro bel paese.

Fotografie e video
  1. Formazione della Cavese nella stagione 1980-1981. Da sinistra, in piedi: R. Pidone, E. Glerean, Canzanese, A. Polenta, M. Della Bianchina, Vannoli; accosciati: A. Turini, Longo, De Tommasi, A. Banelli, P. Braca (capitano). via Wikipedia
  2. Video 25 febbraio 1996 - Stadio "Zanutto" - San Donà di Piave (Ve) - Serie C2 - Sandonà - Ternana 6-2 (1-1) via YouTube

Federico Pevere

Nato in Friuli tempo fa, ora vive in Emilia. Scrive molto ma giustamente non viene quasi mai pagato ma va bene così, perchè come diceva un vecchio punk, "così vanno le cose, così devono andare". Lavora di notte. Tifa per Beckett. Pensiero debole. Mutuo quinquennale.
Lo trovi su Twitter come @fstroszek (ma non lo usa o quasi)