Messico 1970.
L’Inghilterra, la Nazionale di cui sono il capitano, detentrice del Trofeo Jules Rimet, si appresta a
difendere il titolo in Messico. Appunto.
Il nostro CT Alf Ramsey ha pensato bene che per acclimatarci a quelle latitudini è meglio se partiamo
prima: noi Inglesi ci abitueremo così al sole, all’umidità, alle alte temperature e i nostri polmoni si
abitueranno all’altura: giocheremo infatti due amichevoli in Sud America, una in Colombia e l’altra in
Ecuador.
Ma soprattutto quel vecchio volpone di Alfie vuole tenerci lontani dalla pressione dei media.
Così io Bobby Moore, all’anagrafe Robert Frederick Chelsea Moore, e i miei compagni arriviamo in
Colombia. Ospiti dell’albergo Tequendama di Bogotà.
Fin qui nulla di strano direi. Solo che ci si annoia da morire in questo albergo: non facciamo altro che
gironzolare tra i negozi e il bar, tra il bar e il bar.
Nel nostro albergo c’è una bella gioielleria. Così io e l’altro Bobby, Charlton, decidiamo di andare a
dare un’occhiata. Anche perché l’altro Bobby aveva una mezza intenzione di regalare una collana a sua
moglie Norma. Gironzoliamo anche lì. Niente d’interessante. Facciamo per uscire quando la commessa
lancia un urlo che ci gela il sangue, a me e all’altro Bobby.
“Al ladro! Al ladroooooooooo!”
Io e l’altro Bobby ci guardiamo. Lì dentro oltre alla commessa, la “signora” Clara Padilla, ci siamo
solo noi. E quella continua a urlare!
Beh, che mi venisse un accidente. Mi sta accusando di furto. Sta urlando che io, Robert Frederick
Chelsea Moore, Bobby Moore, capitano dell’Inghilterra, che con queste mani ho sollevato il Trofeo
Jules Rimet ho rubato un braccialetto di smeraldi. Da non credere.
Accorre un sacco di gente. Tutti. Il proprietario della gioielleria. Il direttore dell’albergo. Alf Ramsey.
Io continuo a ripetere come un disco rotto che non ho preso niente, che sì siamo entrati ma non
abbiamo chiesto di vedere niente, che di bracciali non ce ne erano nemmeno. E l’altro Bobby continua
pure lui a ripetere la stessa cosa, che no, non abbiamo preso niente, che eravamo entrati solo perché
forse lui aveva intenzione di comperare una collana alla sua Norma, ma non un braccialetto, che
braccialetti non ne avevamo visti!
Dopo un lungo, lunghssimo tira e molla sembra che tutto torni alla normalità e prima di uscire il buon
Alfie bofonchia amaro in direzione del proprietario della gioielleria “Se il mio Bobby avesse voluto
avrebbe comprato lei e tutto l’albergo. E poi che diamine! Siamo Inglesi noi!”
Ma si sa. Gli Inglesi non è che vengano visti proprio di buon occhio da queste parti!
Partiamo così dopo questo increscioso oltre che imbarazzante equivoco per affrontare la seconda delle
amichevoli in programma in Ecuador. Il volo di ritorno, che ci porterà in Messico, prevede lo scalo a
Bogotà. All’aeroporto Eldorado, oltre ai tanti fotografi, alla stampa e a una miriade di ragazzini in
cerca di autografi, c’è un tale, Pedro Dorado. Lui non è lì né per un’intervista né per un autografo, no,
lui è lì per notificarmi l’arresto.
Nell’arco di tempo di una partita a Quito, a Bogotà sono spuntati come funghi testimoni oculari che mi
hanno visto rubare il bracciale! Non solo! Questo bracciale sembra il Sacro Graal! Non ha più
nemmeno prezzo. E’ inestimabile! Ancora! L’altro Bobby era mio complice, mi faceva da palo!
Cazzo! Agli arresti domiciliari. Da non credere.
Alfie e i ragazzi partono alla volta del Messico e io, il capitano, Robert Frederick Chelsea Moore,
Bobby Moore, sono agli arresti!
L’unica fortuna è che dovrò scontarli a casa di un alto dirigente del Millionarios, club di Bogotà.
Per la mattina successiva ho ottenuto addirittura il permesso di allenarmi con i ragazzi delle giovanili
del Millionarios nel quartiere di Chicò.
Mi hanno fornito tutto il necessario, anche una bella tuta del Millionarios.
Mentre sto palleggiando con i ragazzi arriva la notizia: le diplomazie hanno lavorato sodo per sbloccare
la situazione, si dice addirittura che il nostro Primo Ministro Harold Wilson si sia scomodato alzando la
cornetta.
Beh, comunque sia andata, posso finalmente partire per il Messico, ma, con la promessa di recarmi
presso l’ambasciata colombiana a Londra qual’ora l’inchiesta dovesse proseguire.
Il 2 giugno l’Inghilterra esordisce contro la Romania. Gioco benissimo. Vinciamo per uno a zero.
Poi è la volta del Brasile. Gioco da Dio! Ma perdiamo. Le immagini dei miei tackle su Jairzinho
però saranno proiettate per anni nelle scuole calcio inglesi, ne sono sicuro, un esempio di
pulizia, forza e precisione.
L’inchiesta è andata effettivamente avanti… per altri cinque anni, a ritmi sonnacchiosi. All’ambasciata colombiana di Londra non ci ho mai messo piede. Non è mai stato provato nulla… neanche l’esistenza del bracciale di smeraldi.
In Colombia però, ancora oggi credono che io abbia avuto fortuna, e che il mio talismano sia stato un semplice indumento: la tuta del Millionarios!