The man don't give a fuck

Robin Friday

Robin Friday

Attaccante, nato ad Acton (UK), 27 luglio 1952

Tutte le informazioni mostrate in questa linea temporale sono state raccolte da Wikipedia

Avviate il vostro giradischi. Sul piatto metteteci questo disco. The Man don’t give a Fuck. È di una fottutissima band Gallese, i Super Furry Animals. E parla di me. L’hanno scritta nel millenovecentonovantasei. Sì, proprio per me! Potreste utilizzarla come sottofondo mentre vi racconto la mia storia. Potrebbe essere una buona idea. Fate il cazzo che vi piace! Ad ogni modo.

Talento sprecato. Quante volte me lo sono sentito dire. “Poteva essere un campione!” Dicono tutti questa cazzata. Sempre la stessa. Non si stancano mai. E lo dicono perché non ho mai giocato in First Division. Lo dicono perché non ho indossato maglie di club prestigiosi. Perché non ho alzato trofei al cielo. Lo dicono perché non ho mai giocato per la Nazionale Inglese.

Anche Bill Shankly. Proprio lui. Il vecchio Bill “Friday inizia dove finisce George Best. Insieme non avrebbero potuto giocare: la loro squadra sarebbe scesa in campo già in nove uomini. A volte per una rissa, a volte per qualche donna a volte per molto alcool. Però, non vederli insieme, è e sarà il più grosso rammarico che questa nazione si porterà dietro per sempre.” Ma che rammarico! Ma che rimpianto!

Tutti hanno dei rimpianti per quello che poteva essere e non è stato. Io no. Io rimpianti non ne ho. E sapete perché? Perché io sono un campione. Sul campo odio tutti gli avversari. Non mi importa niente di nessuno. La gente pensa che sono pazzo, lunatico. Io sono un vincente.

Io sono il Bukowsky del pallone. Quando avrò finito di raccontare la mia storia saprete che il venerdì non è solo un fottutissimo giorno della settimana. Sono Robin Friday. L’uomo a cui manca un venerdì. E forse tutti gli altri giorni della settimana!

Sono nato ad Acton, periferia Nord di Londra. È l’estate del millenovecentocinquantadue.

Bus 607 - Acton

Cosa cazzo pensate si possa fare in una periferia? Si gioca al calcio, si beve, ci si droga e si è fortunati quando si torna a casa e per strada nessuno te le ha suonate. E si è ancora più fortunati quando, una volta a casa, non sono i tuoi a suonartele.

A scuola ci andavo quando non avevo nulla di meglio da fare. Quindi ci andavo poco. Quando ci andavo però i miei compagni si divertivano perché passeggiavo palleggiando fra i banchi con una gomma. Avevo otto anni! A dieci sono passato alle arance. Ma ho dovuto smettere perché costavano care. Così sono passato al pallone. Era nella natura delle cose!

Tutto quel talento non passa inosservato. A dodici anni sono nella scuola calcio del Crystal Palace, a tredici in quella del Queen’s Park Rangers e a quattordici anni nei giovanissimi del Chelsea. Il problema è che tutti vogliono dirmi cosa fare. Io voglio solo giocare al calcio. Cazzo me ne faccio della tattica. Passatemi il pallone. Al resto penso io. Mettetevi comodi e godetevi lo spettacolo.

A quindici anni abbandono del tutto la scuola, non sono incostante solo negli studi ma anche nel frequentarla la scuola. Ho iniziato a lavorare, faccio lo stuccatore, e ho iniziato anche a fare uso di droghe. In un anno ho cambiato tre lavori. Sono passato dal fare lo stuccatore a lavorare per un’azienda di alimentari a pulire le finestre. Incostante pure sul lavoro. Però con le droghe no, cazzo se ero costante!

Una sera stavo facendo un lavoretto su un automobile. Beh, stavo prendendo in prestito l’autoradio in realtà. Ero anche un po’ fatto a dire il vero. Due fottuti sbirri mi hanno beccato. Quando servono non ci sono mai quelli. Vi dico una cosa, quando lavorate dovete essere lucidi. Non fate come me. Morale della favola? Sono finito diritto in riformatorio! Per quattordici lunghi mesi.

Il riformatorio mi ha temprato. Nel fisico e nella mente. Saperci fare col pallone poi ha fatto la sua parte. Anzi ha fatto la differenza. Ho iniziato a giocare nella squadra carceraria e siccome mi comportavo pure bene il direttore mi accordò il permesso di potermi allenare con le giovanili del Reading per tre volte a settimana. E, per tre volte a settimana, dovevo ricordare ai miei compagni che ero il più forte, e non glielo facevo vedere solo sul campo, ma glielo dicevo. Qui nessuno di voi è più forte di me. Poi rientravo a dormire in riformatorio.

Robin Friday, Maxine and Nicola

Scontata la pena me ne torno nel mio vecchio quartiere. Qui ho conosciuto Maxine. Una Venere nera. Cazzo bellissima. Non ho perso tempo. È rimasta incinta e l’ho sposata. Siamo nel Settanta, e nel regno di Sua Maestà stare insieme ad una donna di colore è malvisto. È sconveniente. Ipocriti del cazzo. Intanto non sapete cosa vi perdete. E poi il vero problema stava nel fatto che ero ancora minorenne e senza un penny nelle tasche. Questo era il problema bigotti maledetti. Però il problema dei soldi riesco a superarlo, qualche lavoretto lo trovo. Un giorno un tizio mi invita ad un provino per il Walthamstow Avenue. Segno sette reti. Sono una squadrata di semi dilettanti dell’Isthmian League. Mi mettono sotto contratto e mi pagano uno stipendio di dieci sterline a settimana e mi hanno pure trovato lavoro come asfaltista. Che culo!

Con i ragazzi ho giocato fino all’Inverno del Settantuno. Poche partite e tanti goal. In realtà fino alla partita con l’Hayes, una di quelle poche partite che vincevo da solo. Due reti in quell’occasione. Due grandi reti. Quelli dei Missioners non perdono tempo e finita la partita mi chiedono di giocare con loro, mi mettono sotto contratto. Mi avete preso perché vi ho spaccato il culo gli dico mentre firmo il contratto. Mi danno trenta sterline a settimana. Tanti soldi.

Poi è successo che ho avuto un brutto incidente sul lavoro. Una settimana giusta prima del mio compleanno. Ma brutto per davvero! Sono caduto da un tetto a cinque metri d’altezza su di un paletto. Morale? Mi ha trapassato. Mi sono sentito un pollo allo spiedo! Però nella vita come nel calcio ti devi sempre rialzare. E io mi sono tirato su da solo dopo la caduta. Mi sono liberato io del paletto. Poi mi hanno portato in ospedale e mi hanno tenuto sotto i ferri per cinque ore. Forse qualche pezzo lo hanno tolto, o forse no, boh. Fatto sta che in tre mesi sono tornato a giocare, a modo mio, e se qualcosa hanno tolto certo non doveva essere un pezzo importante.

Una volta, dopo l’infortunio, dovevo giocare contro il D&R e mi ero fermato a bere al pub nei pressi dello stadio prima che iniziasse la partita. I medici il fegato me l’avevano lasciato! Il tempo mi è sfuggito di mano. Le pinte vuote si accumulavano sul bancone. Mi sono ubriacato e mi sono dimenticato della partita. Mi sono venuti a cercare magazzinieri, massaggiatori e tifosi. Chiunque avesse un’idea. Mi hanno trovato ubriaco fradicio, mi hanno portato via a forza quegli stronzi. Negli spogliatoi prima mi hanno buttato sotto la doccia poi mi hanno vestito, la maglia al contrario mi hanno messo e si sono ricordati dei parastinchi. L’unica cosa che non ho mai indossato! Brutte checche. Mi hanno letteralmente buttato in campo. La partita era iniziata da più di dieci minuti e l’unica cosa che sento sono i commenti sarcastici degli avversari. Stronzi! È vero sono ubriaco e mi reggo a stento in piedi, ma non prendetemi per il culo! Infatti sul finire della partita mi arriva un pallone, uno, uno solo e realizzo il goal della vittoria. Tutti entrano in campo, vogliono festeggiarmi, io invece vado diritto dall’allenatore. Visto stronzo!? Adesso torno a bere là fuori. Vedi di non rompermi più i coglioni.

Quell’anno io e l’Hayes avanziamo in FA Cup fino al secondo turno, dove affrontiamo il Reading, relegato in Fourth Division. L’ultimo grado del professionismo. Ci hanno eliminato, ma ho giocato così bene che Charlie Hurley, il loro manager mi vuole a tutti i costi. Ha sborsato 750 sterline per assicurarsi il mio estroso talento.

I primi allenamenti con i Royals non sono stati facili. In una partitella d’allenamento sono riuscito ad azzoppare due o tre compagni. Mica per cattiveria cazzo! E che io sono così, combattivo, voglio vincere, anche in allenamento. Per me una partita di calcio è una partita di calcio. Perché dovrei tirare indietro la gamba? Però i ragazzi non l’hanno presa bene e così Charlie, il mister, mi ha fatto allenare a parte. Dice che aveva paura si vendicassero. Mah, io penso avesse paura che glieli mettessi tutti fuori gioco!

Mi fa iniziare con la squadra riserve. E succede dopo pochi mesi che mentre il Reading è in una posizione di classifica molto scomoda, la mia squadra riserve vince tutte le partite. Così Charlie si convince che non può fare a meno di me. “Ragazzo ho deciso di darti una possibilità in prima squadra. Vedi di non fare cazzate!” Cosa potevo rispondergli. Ok boss, me ne tornerò a casa tranquillo, non berrò e non farò a botte con nessuno. Mi ha guardato, con le mani sui fianchi e mi ha risposto: “Non dire stronzate! Lo so che mi stai prendendo per il culo. Ma tre volte sono troppe!” E io che gli avevo fatto una promessa!

È il Gennaio del millenovecentosettantaquattro. Come pensate sia andato l’esordio? I quotidiani locali riportavano a tutta pagina: “Stupefacente!” Riferito a me e al consumo che facevo di droghe non faceva una piega. Non credete? Due reti. Un missile dai venti metri e un delicato pallonetto. Potenza e classe. Quello che sono!

Robin Friday al Reading

Da quel giorno per i tifosi di Elm Park sono diventato un idolo. Un capellone dal gran fisico che gioca al calcio senza paura. Senza parastinchi. Capace di realizzare goal incredibili e che non tira mai via la gamba. Questo piaceva a loro. Ma questo piaceva anche a me. Da morire.

Durante una partita contro il Lincoln City, quei figli di puttana mi hanno letteralmente massacrato. Mi hanno preso a calci per tutto l’incontro. Pensavano di intimidirmi. Sono rimasto dieci minuti a bordo campo per un brutto intervento. Charlie voleva sostituirmi. Sono rientrato in campo e gli ho fatto due reti. Non me lo sarei mai perdonato se fossi uscito dal campo per due calci. Io non la voglio dare vinta a nessuno cazzo!

Sul finire del millenovecentosettantaquattro affrontiamo il Rochdale. Una partita rognosa. Tanti calci più che altro. Ma questo è l’inferno delle serie minori in Inghilterra. Comunque la partita sembra non volersi sbloccare perché io non mi sblocco. Lo faccio all’ultimo minuto, sull’ultima palla buona a disposizione. Eccovi servita la rete della vittoria. Tutti ad esultare felici. E poi, vedo un poliziotto tutto serio. Salto oltre i cartelloni pubblicitari, lo afferro e lo bacio. Era davvero troppo serio, e quello invece era un momento di festa. Poi me ne sono pentito visto che odio così tanto i poliziotti.

Durante un altra partita invece avevo una sete terribile. Cazzo avevo voglia di una fottutissima birra. Ma dove la andavo a prendere. Mica potevo dire “Hey boss, torno subito. Il tempo di una bevuta”. Giocavamo contro il Plymouth Argylle. Ero nella loro area quando mi arriva il pallone. Dribblo il difensore e anche il portiere e deposito la palla in rete. I tifosi sono impazziti e fra di loro ne vedo uno con una birra. Cazzo eccola! Scavalco i cartelloni pubblicitari e gli strappo la birra di mano. L’arbitro si avvicina sdegnato e mi espelle. Ma perché cazzo! Brutto stronzo, avevo solo sete!”

Fuori dal campo poi è un delirio. Non posso andare più quasi in nessun pub o locale notturno in zona. Non mi fanno nemmeno avvicinare. Si, va bene, una volta mi sono presentato con solo il cappotto addosso. Però non avevo niente da mettermi e avevo voglia di farmi un goccio. Mi era rimasto solo il cappotto. Allora Charlie per cercare di preservare le sue 750 sterline d’investimento mi trasferisce in una casa vicino al club. Nei pub non mi vogliono. Nei locali non mi lasciano avvicinare. Cosa cazzo posso fare? Passo le serate a mettere dischi a tutto volume, in compagnia di Pink Floyd, Led Zeppelin, Deep Purple, Uriah Heep e dell’LSD.

The The Legend of Robin Friday

Così sono volate le prime due stagioni con i Royals, fra alti e bassi. Grandi partite. Reti inimmaginabili e tante espulsioni. Nonostante tutto sono sempre il migliore. Nella terza stagione però ho deciso che voglio fare le cose più seriamente. Ci ho messo un po’ più di testa, e infatti siamo stati promossi in Third Division. Ho realizzato giusto venti reti. Però una più delle altre ve la devo raccontare. Non per il goal in se stesso, ma per quello che è successo. Era il millenovecentosettantasei e affrontavamo il Tranmere Rovers. Mi arriva un lancio lungo, bello, preciso all’altezza del petto. Sono nei trenta metri avversari. La stoppo e calcio in rovesciata. Da fermo. Senza guardare la porta, perché lo so bene dov’è la porta. La palla si infila secca nell’angolino alto alla destra del portiere. Compagni, avversari, spettatori. Tutti increduli. E pure l’arbitro! A fine partita quello scende negli spogliatoi e mi dice: “Ho visto fare cose incredibili a Pelé e Cruyff. Gli ho visto segnare reti quasi impossibili. Ma quello di oggi è il più bel goal che io abbia mai visto!” Mi stavo allacciando le scarpe. Lo guardo e scrollando le spalle rispondo: “Davvero? E allora dovresti venire qui giù più spesso. Cose così le faccio tutte le settimane!

Poi mi hanno detto che quell’arbitro era Clive Thomas. Uno che aveva arbitrato incontri di Coppa del Mondo e Coppa dei Campioni. Uno che Pelé e Cruyff li aveva visti per davvero. Beh, adesso poteva completare la trinità col mio nome. Friday! Pelé, Cruyff, Friday!

Intanto in quell’anno oltre alla promozione ho cambiato pure moglie. Sostituzione: esce Maxine ed entra Liza. Un bocconcino di Reading. Il matrimonio è stato incredibile. Erano tutti un po’ fuori, se così posso dire e a un certo punto è scoppiata una rissa fra gli invitati. Non potevo tirarmi indietro. L’unica cosa che mi dispiace è che ci hanno rubato alcuni regali di matrimonio, e un sacco d’erba.

Durante l’anno della promozione ad ogni partita che giocavamo c’erano degli osservatori di First Division. Erano lì tutti per me. Però il mio stile di vita tutt’altro che morigerato li metteva in difficoltà. Nessuno se la sentiva. Così mi ero rassegnato a rimanere ai Royals. Se non fosse stato per quel coglione del presidente ovviamente. Quel testa di cazzo voleva che cambiassi vita. Io gioco al calcio per il Reading. Punto. La mia vita è la mia vita. Non lo sopportavo e per dispetto giocavo di merda, fino a quando non si sono presentati quelli del Cardiff City. Jimmy Andrews Il manager dei Bluebird gli ha dato ventottomila sterline e buonanotte al secchio. Eccomi arrivato in Second Division. Io non ci volevo mica andare fino in Galles. Era troppo lontano da casa. Però quel bastardo di presidente non mi diede molte scelte: o al Cardiff o senza squadra!

Così a malincuore ho dovuto accettare. Ho preso il treno e sono partito per Cardiff. Senza biglietto ovviamente. Su quel treno ho fatto un po’ di casino. Ho fatto finta di essere il capo treno per farmi dare un biglietto. Così all’arrivo alla stazione di Cardiff la polizia ferroviaria mi ha arrestato. Mi sono presentato in grande stile. Ecco a voi Robin Friday!

Friday in action for Cardiff City vs Fulham in 1977

La sera prima del mio debutto ho bevuto fino a tarda notte. Non era un problema. Giocavamo con il Fulham. E con i Cottagers giocava Bobby Moore. Secondo tutti dovevo essere preoccupato. Il mio marcatore era stato il capitano della Nazionale Inglese. Quella campione del mondo. Com’è iniziata la partita, al primo contatto, gli ho strizzato le palle a Bobby Moore. L’Inghilterra era sdegnata. Non ho capito se quei benpensanti del cazzo fossero offesi perché avevo strizzato i coglioni di un uomo o perché quelle erano le palle di Bobby Moore, e lui, Bobby era stato il capitano dell’Inghilterra che aveva vinto la Coppa del Mondo nel millenovecentosessantasei! Chissà. Lo speaker del Cardiff Harry Parsons disse che il buon Bobby era livido di rabbia. Era fuori di se. Mi rincorreva per tutto il campo. Bobby non aveva mai perso la calma fino al giorno in cui mi ha incrociato su un campo di calcio. Alla fine gli ho fatto due reti.

A fine gara Andrews chiama Charlie, il mio allenatore al Reading, per raccontargli della partita. Quel piccolo bastardo è contento delle mie giocate, gli racconta di come Moore ancora non si capaciti di cosa gli sia successo. Charlie non fa una piega e con calma gli dice: “Jimmy, lo avete da soli quattro giorni. Dagli qualche mese…” Infatti. Datemi qualche mese. In qualche mese ho saltato un sacco di allenamenti. Ho fatto a pugni con compagni e avversari. Me ne torno a casa in treno quando voglio senza pagare mai il biglietto. Un giorno Charlie mi ha trovato nel suo ufficio, a Reading: “Boss, non posso giocare per quel piccolo bastardo e tu sei l’unico che sa come trattarmi. Posso tornare a giocare con voi?” Ci ho provato. Anche se lo sapevo che i soldi per riprendermi non ce li avevano.

Così sono tornato a Cardiff. Il sedici Aprile millenovecentosettantasette riceviamo il Luton Town. Noi in lotta per la salvezza, loro per la promozione. È una partita da uomini e fin da subito mi scontro con il loro portiere, Aleksic. Più volte ho provato a fargli goal e tutte le volte mi ha fermato. Con le buone o le cattive. Nell’ennesimo tentativo andato a male mi sento così frustrato che gli rifilò una scarpata in faccia. L’arbitro mi ammonisce e voglio scusarmi con il portiere. D’altronde lui faceva solo il suo mestiere. Solo che quel fottuto caprone si rifiuta di stringermi la mano. Rifiuta le mie scuse. Prende il pallone e lo rilancia ad un suo difensore. Non ci ho visto più cazzo. Con tutta l’energia che ho in corpo, inseguo il difensore, gli porto via il pallone, punto il portiere, lo metto a sedere e deposito il pallone in rete. E’ un gol strepitoso, e mentre torno verso il centro del campo e quel cazzone di Aleksic è ancora a terra gli mostro le dita a V: non in segno di vittoria ma per mandarlo affanculo! Se mi avesse stretto la mano non sarebbe mai successo!

Il Cardiff bene o male quell’anno si salva. La stagione seguente le cose non migliorano affatto. Mi sono beccato pure un virus misterioso che mi ha fatto perdere la bellezza di dieci chili e che non mi fa giocare da tre mesi. Sono rientrato giusto il tempo della mia ultima partita. Ancora non lo sapevo però. L’avversario del Cardiff è il Brighton & Hove Albion. Il mio si chiama Mark Lawrenson. Lo stopper. È uno stronzo. Non ha fatto altro che prendermi a calci con entrate davvero brutte a volte. La cosa mi stava indispettendo fino a quando quel bastardo non entra in scivolata. Io lo salto e mentre lo salto gli tiro un calcio in faccia. Vengo espulso. Ma sapevo già che sarebbe successo. Mi avvio negli spogliatoi e passo davanti a quello degli ospiti. Era di fianco al nostro. Allora mi è venuta l’idea. Sono entrato, ho cercato la sua borsa e ci ho cagato dentro. Uno stronzo nella borsa di uno stronzo!

Cardiff City's Robin Friday gives a two finger salute to Luton goalkeeper Milija Aleksic after scoring his second goal at Ninian Park

Il Cardiff era già in dieci prima della mia espulsione. Il risultato finale fu di quattro a zero per loro. A fine gara quel piccolo bastardo di Boss Andrews mi mette fuori squadra. Fino a fine anno. E io a fine anno vado da lui e gli dico che ne ho abbastanza di sentire persone dirmi cosa devo o non devo fare. Così la stagione 1977/78, la quinta da professionista, è anche l’ultima da calciatore per me. Ho venticinque anni. Me ne torno ad Acton a fare l’asfaltatore. Almeno posso bere e farmi quanto voglio.

Ho provato a rientrare l’anno dopo, con il Brentford. Avevo svolto il ritiro è tutta la preparazione, ma poi alla fine ho mandato tutto al diavolo. Addirittura i tifosi del Reading organizzarono una raccolta di firme per riportarmi sul prato di Elm Park. Il nuovo Boss Maurice Evans inizia il suo discorsetto dicendo che se avessi messo la testa a posto, anche solo per un po’, tre o quattro anni, sarei potuto arrivare in Nazionale. “Quanti anni hai Maurice?” Chiedo. “Cinquanta” risponde. “Vedi Boss, ho la metà dei tuoi anni e ho già vissuto il doppio di te.” Ci ha provato addirittura Brian Clough a farmi cambiare idea. Avrei potuto pure vincere un paio di Coppe dei Campioni con il suo Nottingham Forest, ma non avevo più voglia di giocare. Poi Cloug ha detto che sarebbe meglio che nel calcio ci fossero più ragazzi sinceri come Robin Friday e meno leccaculo come Billy Bremner. Ma Brian con il Leeds ce l’aveva a morte e con Billy Bremner ancora di più. Ma erano fattacci loro, non miei.

Comunque alla fine vi dico una cosa.
Amo la droga perché mi fa stare bene. Amo l’alcol perché con lui io sono un altro. Amo le donne perché loro amano me. Ed amo il calcio perché è l’unica cazzo di cosa nella mia vita che so fare meglio di un Dio e di chiunque altro su questa corrotta e schifosa terra.

Video: "Super Furry Animals" - The Man Don't Give A Fuck - via Youtube
Fotografie
  1. Bus 607 per le vie di Acton, London
  2. Friday had a child, Nicola, with his first wife, Maxine - but the couple were targeted by bigots (Image: Daily Mirror) via Daily Mirror
  3. THE GREATEST FOOTBALLER YOU NEVER SAW - via The Classic Football Shirts Collection
  4. The The Legend of Robin Friday di Roger Titford via In Your Area
  5. Friday in action for Cardiff City vs Fulham in 1977 via BerkshireLive
  6. Cardiff City's Robin Friday gives a two finger salute to Luton goalkeeper Milija Aleksic after scoring his second goal at Ninian Park via BerkshireLive
Le parole liberamente attribuite a Robin Friday sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, sono ispirate a fatti realmente accaduti e in seguito romanzate.