Tu lo conosci Tomás Carlovich?

Tomás Felipe Carlovich

Tomás Felipe Carlovich

Centrocampista, Rosario, 20 aprile 1949 – Rosario, 8 maggio 2020

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Nel 1999, Luciano Ligabue pubblicò una delle sue canzoni più famose: "Una vita da mediano". Dedicata a tutti coloro che nella vita fanno del bene faticando magari più degli altri senza apparire mai, nel testo il rocker emiliano citò Gabriele Oriali, l'ottimo mediano interista e della Nazionale italiana mundial in Spagna, fulgido esempio di chi, senza essere mainstream e lavorando "nell'ombra", ha fatto la fortuna delle squadre in cui ha giocato.

Nel 1999, quando è uscito questo pezzo, il protagonista della nostra storia aveva cinquant'anni, si era ritirato dal calcio giocato da oltre una decina e si godeva la sua pensione, ricordato da tutti per ciò che fece in una partita amichevole giocata 25 anni prima.

Il protagonista di questa storia è un argentino di Rosario, la città culla della bandiera albiceleste e detta la "citta del fútbol", un "volante central" (il mediano sudamericano) molto noto in Patria ma per nulla conosciuto nel resto del Mondo. Il Mondo lo conobbe solo quando Diego Armando Maradona, argentino di Lanus, in un'intervista dopo che aveva firmato con il Newell's Old Boys di Rosario, fece il suo nome. Un giornalista gli chiese come si sentiva ad essere il più forte di tutti. Il pibe de oro, con un tocco di umiltà, dissentì e rispose che il giocatore più forte di tutti è stato un altro giocatore di Rosario: Tomás Felipe Carlovich.

"Tomás Felipe chi?", hanno pensato tutti, non sapendo chi fosse quel giocatore citato da Maradona.

Per parlare di questo giocatore noto in patria ancora oggi, c'è da partire con una sua frase "non sono arrivato: volevo giocare a calcio e ce l'ho fatta". Queste sono state le parole usate dallo stesso Carlovich quando gli fu chiesto perché non divenne un vero e proprio calciatore professionista, perché non volle mai fare il salto di qualità.

Perché Tomás Felipe Carlovich, alias "el trinche", è stato considerato da tutti come uno dei migliori giocatori argentini tra gli anni Sessanta e Settanta, un giocatore che poteva diventare un calciatore con i contro fiocchi solo che, come tanti nella storia ultra centenaria della storia del calcio, non ha voluto. Vuoi per pigrizia, vuoi per indolenza, Carlovich era contento già solo del fatto che abbia giocato a calcio. Lui figlio di emigranti dell'allora Jugoslavia che erano salpati nel Paese sudamericano per cambiare vita a loro e ai futuri figli, era cresciuto come tanti nei potreros, i campi da calcio di strada.

Arrivava dal barrio General San Martín di Rosario, detto La Tablada, Carlovich: povertà pura. Si innamorò subito del fútbol e volle diventare un calciatore. E si vedeva che aveva del talento.

Carlovich, capello lungo e sguardo da ragazzo della beat generation, giocò solo due partite in carriera nella massima serie argentina, vestendo i colori del Rosario Central.

Carlovich al Club Atlético Colón

Ha poi giocato per scelta in club di secondo (se non terzo) piano argentine: Flandria, Independiente Rivadavia, Club Atlético Central Córdoba (in tre tranches), Club Atlético Colón e Deportivo Maipú ed i suoi ricordi più cari come prestazioni e vittorie sono legati al Atlético Central Córdoba e all'Independiente Rivadavia.

E nel piccolo impianto rosarino, il "Gabino Sosa", in biglietteria si pagava di più se "el trinche" avrebbe giocato, di meno se fosse stato in panchina o in tribuna tutta la partita.

Aveva una sola città nel cuore, Tomás Felipe: la sua Rosario. E ogni volta che andava via da quella città, in lui si diffondevano sentimenti di ansia, angoscia e mancanza di terra sotto i piedi. Ed infatti la sua carriera fu con squadre di Rosario o delle città limitrofe. Che nel caso della vastità dell'Argentina, erano distanti centinaia di chilometri.

Quando Tomás Carlovich iniziò a fare calcio seriamente (nel 1966), nell'Argentina guidata allora dal generale Onganía, il calcio albiceleste in dieci anni aveva vinto tre Copa America ed i suoi talenti migliori emigravano in Europa: l'emblema fu la triade Angelillo-Maschio-Sivori, gli "angeli dalla faccia sporca". Ma al nostro Tomás dell'Europa non interessa nulla: interessava non cambiare la propria vita fatta di uscite con gli amici, chiacchiere al bar, la pesca, rincorrere una palla e fare più possibili caños, i tunnel.

Nel 1974 la Nazionale del Commissario tecnico Vladislao Cap strappò il pass per il Mondiale di quell'anno dopo non essersi qualificata al Mondiale messicano di quattro anni prima. Non era un'Argentina con velleità di vittoria, ma qualche buon giocatore in rosa c'era.

E nel periodo pre-Mondiale, l'Argentina, come tutte le Nazionali che si apprestavano a partecipare ad una competizione internazionale, organizzò amichevoli contro avversari tutt'altro che forti per sperimentare e provare. Ed il 16 aprile 1974 fu organizzata a Rosario un'amichevole tra Carrascosa e soci contro una compagine di giocatori che vestivano le maglie di Rosario Central e Newell's Old Boys, le due squadre principali della città: cinque da una parte, cinque dall'altra ed un misconosciuto numero 5 che invece giocava nella terza squadra cittadina, il Central Córdoba, allora in Primera B Nacional. Tutti conoscevano gli altri dieci giocatori, nessuno l'altro. E lo sconosciuto era proprio Tomás Carlovich.

"Vittoria facile" dissero tutti. La partita finì 3-1 per la squadra rosarina, con Carlovich migliore in campo. Sembrava fosse un giocatore della Nazionale prestato alla squadra che raccoglieva il meglio della sua città. La vulgata dice che nell'intervallo Cap andò da Carlos Timoteo Griguol, collega della squadra avversaria e gli chiese assolutamente di togliere Carlovich sennò il divario tra le due squadre sarebbe stato troppo e i suoi avrebbero fatto una magra figura a due mesi dal Mondiale del rilancio del calcio argentino. Carlovich fu devastante, imprendibile.

Il numero 5 di Rosario uscì al minuto 60' sul 3-0 e l'Albiceleste, solo dopo che il giocatore uscì, riuscì a segnare.

Carlovich al Independiente Rivadavia

Il livello tecnico-tattico di Tomás Carlovich era devastante: possesso passa, visione di gioco, tackle, ripartenze. Quella partita impressionò tutti e tutti iniziarono a parlare di quel ragazzo di 25 anni, sconosciuto che era degno di giocare in Nazionale.

E quattro anni dopo il nuovo Ct argentino, il rosarino Cesar Luis Menotti, parlò con Carlovich, che era rimasto ai livelli di quell'incontro, gli disse di andare da lui a Buenos Aires, fare un discorso serio ed un provino con la possibilità di venire tesserato per una squadra di Primera division ed essere convocato per il Mondiale casalingo. La situazione era anche ottimale: il mediano titolare, Jorge Carrascosa, si era ritirato dalla Nazionale proprio a ridosso del Mondo. Tomás Carlovich accettò l'incontro, ma non arrivò nella capitale perché (la vulgata dice) si fermò per strada a pescare e, visto che stava andando bene, dopo un po' se ne tornò a Rosario, lasciando Menotti con un palmo di naso. Ma se lo aspettava, "el flaco" di essere "bidonato" da Carlovich.

Il barbuto e capelluto giocatore classe 1949 smise con il calcio giocato nel 1986 con il suo "Cordoba".

Gli erano arrivate offerte da tutto il Mondo, ma lui non volle allontanarsi più di 100 km da Rosario: chissà come sarebbe stato il calcio argentino con un Tomás Felipe Carlovich in Primera division. Chissà come sarebbe stato il calcio mondiale, anche.

Era il re dei dribbling e si diceva che aveva un bonus per ogni dribbling che faceva, ma faceva la differenza per sé stesso, non per la squadra: a lui interessa che gli arrivasse il pallone, poi l'azione come andava andava. Gli bastava destreggiarsi, bailar con il pallone e darlo poi al compagno, magari con un verticalizzazione perfetta.

Paragonare Carlovich a ciò che hanno fatto i vari Pelé, Maradona, Cruijff, van Basten, Messi e Ronaldo è un paragone azzardato, ma lui nel suo piccolo ha dato molto a sé stesso e a chi gli voleva bene: è uno che ha ispirato tutti coloro che in Argentina volevano fare il volante defensivo.

Oggi Tomás Carlovich abita a Rosario, nel barrio 7 settembre: esce, zoppica per via di un intervento all'anca, vede gli amici, racconta la sua storia e tutti lo ascoltano. Anche se sono in pochi a Rosario a non conoscerlo.

Tomás Carlovich è nostalgia, utopia, fantasia. Peccato che non sia mai voluto andare oltre sé stesso. Era lento ma efficace, elegante ma facilmente stancabile. Un precursore di come si giocherà in Argentina nei decenni successivi. La palla per lui era come la coperta per Linus: senza averne il possesso, stava male.

A Rosario è nata gente come Bielsa, di Maria, Menotti, Solari, Messi, Icardi, "el Tata" Martino (ma anche Ernesto "Che" Guevara e Valeria Mazza), ma il più famoso di tutti, il meno mainstream di tutti, rimane lui: Tommaso Filippo.

Se le zanzare durano un giorno, la carriera di Tomás Carlovich è durata quei 60 minuti di Rosario nella primavera del 1974 in una partita che non doveva cambiare il destino del calcio e che invece lo cambiò.

Mettiamola così: con le zanzare usiamo le mani per scacciarle, quel giorno a Rosario chi assistette a quella famosa partita usò le mani per applaudire il talento de "el trinche".

E noi non rimane che andare su Google a cercare video sgranati di quarant'anni ed immaginare cosa ha fatto in campo questo uomo che da bambino se riceveva un pallone, per lui era sempre Natale.

Scritto da Simone Balocco
Fotografie
  1. Argentine footballer Tomás Carlovich during his tenure on Colón de Santa Fe, where he played only 2 matches - El Gráfico - Public Domain via Wikimedia
  2. A Argentine footballer Tomás Carlovich while playing for Independiente Rivadavia (Mendoza) - El Gráfico - Public Domain via Wikimedia

Simone Balocco

Novarese del 1981, scrive da anni di calcio e storia, le sue due grandi passioni. Per intenderci: la sua tesi di laurea verteva sullo sport nella sua città e la materia era storica. I suoi idoli giornalistici sono Gianni Brera e Indro Montanelli e segue il calcio da quando ha visto per la prima volta una puntata di "Holly e Benji". Tra le sue collaborazioni, spiccano il blog Cittadinovara.com ed il sito derbyderbyderby.it.
Lo trovi su Twitter come @SimoneBalocco