E l Flaco Menotti era preoccupato. Irrequieto. La mia squadra, l'Huracán, era in ritiro in albergo per preparare al meglio la partita del giorno dopo. Però? C'era un però. Una delle grandi stelle di quella squadra meravigliosa non c'era. E credete a me, nel millenovecentosettantatre nel "Globo" giocavano fior di futbolistas: Alfio Basile, Jorge Carrascosa, Miguel Brindisi, Omar Larrosa, Carlos Babington.
E io.
Quello che mancava all'appello ero per l'appunto io, René Orlando Houseman.
No. No. Non fatevi ingannare dal cognome Inglese. Di britannico ho solo quello. Sono Argentino. Fin dentro le ossa.
Mi chiamavano "El Loco". Ma sapete come siamo noi Argentini, c'è un "loco" ogni dieci giocatori di fútbol, Hugo Gatti per esempio, o Marcelo Bielsa. Poi a me non è che piacesse granché ad essere onesti. Mi è sempre piaciuto di più "El Hombre Casa", anche perché spazzava via quello stridente inglesismo che è il mio cognome.
Comunque, i minuti scorrevano inesorabili e inesorabile cresceva l'ansia di Menotti. Ad un certo punto Luis chiama da parte il suo collaboratore. Confabulano per qualche minuto. Poi si fiondano fuori dall'albergo, direzione Bajo Belgrano. Luis era certo che fossi lì, nella "villa" dov'ero cresciuto.
Beh, ad essere onesto sono nato a La Banda, poi da piccolino ci trasferimmo tutti nella "villa" di Bajo Belgrano nei dintorni di Buenos Aires. I miei genitori pensavano di darmi più opportunità trasferendosi nella capitale. Una "villa" non è quel qualcosa di lusso che potete immaginare. Una "villa" è molto più semplicemente un'umile baraccopoli.
Il mio destino venne segnato in giovanissima età: oltre a rincorrere un pallone rincorrevo la povertà.
Arrivati a Bajo Belgrano trovano subito quello che stanno cercando. Una pachanga! Un partidillo de barrio. Non era certo un eccezionalità la partitella, anzi, era un appuntamento fisso di ogni fine settimana. Luis inizia a guardare tutti i giocatori in campo. In campo non ci sono. Tira un profondo sospiro di sollievo. Da una parte “El Flaco” è contento di non avermi trovato a giocare una pachanga. Avrei potuto farmi male. Dall'altra invece è quasi terrorizzato. È ridotto alla disperazione. A questo punto non sa più dove cercarmi. Potrei essere a bere in uno qualsiasi dei bar della "villa". Potrei essere ubriaco fradicio, svenuto da qualche parte. Potrei essere andato a donne. Stanno quasi per andare via, rassegnati, quando lo sguardo del “Flaco” si sposta sui giocatori in panchina. Tira un altro sospiro di sollievo. Almeno mi ha trovato.
Luis fa il giro dello scalcinato e polveroso campo teatro della pachanga. Si avvicina alla panchina dov'ero seduto con gli altri panchinari e mi chiede con un'occhiata, un'occhiata sola: "Cosa ci fai qui?". Gli rispondo: "Cosa vuoi che ci faccia in panca? Ma hai visto come gioca l'undici?". El Flaco mi guarda, non crede alle sue orecchie. Io sinceramente pensavo fosse arrabbiato per il fatto che stessi in panchina mica perché l'indomani c'era una partita di Primera División e io stavo giocando una partitella con gli amici del barrio.
Cosa volete, io sono fatto così. Per me la vita ed il fútbol sono la stessa identica cosa. Un gioco.
Sono stato considerato uno dei migliori esterni destri di tutto il fútbol Argentino. “El Flaco” Menotti ha detto che ero "una sintesi perfetta tra Garrincha e Maradona". Il mio amico e compagno all'Huracán "El Inglés" Carlos Babington parlava di me come "del giocatore più forte di tutti". Ma la ciliegina sulla torta l'ha messa "El Gitano" Miguel Ángel Juáre: "Per me" ha detto "non esiste un giocatore con le qualità di Houseman. Pelé, nonostante fosse un talento incredibile, non era in grado di fare le giocate che faceva René in velocità. René correva senza nemmeno toccare il campo. Io ammiro Pelé, intendiamoci, ma René è più dotato, più imprevedibile, più geniale. René con il pallone in corsa non ha eguali."
Questo diceva il campo e questo dicevano di me.
Poi c'era la vita fuori dal campo, imprevedibile tanto quanto il mio fútbol. Una vita vissuta pericolosamente, sempre al massimo. Eccessi a più non posso. Non ho mai nascosto di essere un "villero", sono sempre stato orgoglioso delle mie umili origini. Giocavo per gli amici del barrio e tutti gli altri poveri Argentini, un "villero" che almeno li riscattava su un prato verde con un pallone fra i piedi. E dopo averli resi orgogliosi sul campo mi bevevo con loro tutto quello che guadagnavo. Nella "villa" avevo diviso la fame figuriamoci se non dividevo i miei pesos!
Ho iniziato a giocare al fútbol nelle giovanili della squadra per cui ho sempre fatto il tifo, il Club Atlético Excursionistas di Belgrano. Non hanno creduto in me, ma la verità è che si vergognavano del mio essere fiero villero. Che controsenso per una squadra il cui nomignolo è proprio Los Villeros. Così ne approfittarono quelli del Club Atlético Defensores de Belgrano, i rivali di sempre. Con El Dragón in Segunda División ho giocato dal Settantuno al Settantatré, cioè fino a quando Luis El Flaco Menotti non diventa allenatore dell'Huracán. Allora inizia il nostro sodalizio. Già al primo anno vinciamo il Campeonato Metropolitano. L'anno dopo raggiungiamo la semifinale di Copa Libertadores e l'anno dopo ancora quella del Subcampeonato. Dal Settantatré all'Ottanta ho vissuto gli anni più belli e vittoriosi dell'Huracán. Dal Settantatré all'Ottanta l'Huracán ha vissuto i miei anni migliori.
Ma come avete sentito non sopportavo i ritiri. Restare chiuso in un albergo il venerdì e il sabato per concentrarmi su una partita. Io gioco al fútbol mica sono un asceta!
Chiamatela mancanza di professionalità, indisciplina. Chiamatela un po come cazzo volete. Io scappavo per andare a giocare al fútbol nel barrio con gli amici e poi andavo a far festa. E che festa! Quante volte ho sentito raccontare che scendevo in campo ubriaco. Non è vero, o almeno è vero solo in parte. È successo solo una volta che fossi ubriaco fradicio e poi ho segnato la rete più bella della mia carriera. L'Huracán affrontava il River Plate per un incontro del Metropolitano del Settantasette. La partita si giocava al mattino e non in serata com'era solito. Io arrivo in albergo alle undici in condizioni pietose. Non ho il tempo né di dormire né di recuperare dalla durissima nottata in cui si era trasformato il compleanno di mio figlio. Mi buttano in campo dove semplicemente faccio numero. Vagolo. Poi ricevo la palla. Non riesco a spiegarvi cos'è accaduto quando mi è arrivato il pallone fra i piedi, ho semplicemente fatto quello che mi veniva meglio: un paio di finte, un dribbling e i due centrali dei “Millionarios” Perfumo e Ártico me li sono bevuti. Davanti a me c'è solo “El Pato” Fillol, hop un'altra finta, hop un altro dribbling ed ecco uno dei goal più belli della storia del calcio. Poi, dopo poco, ho chiesto il cambio. Ho fatto finta di essermi fatto male. Non volevo altro che andarmene a casa a dormire. Poi il River ha pareggiato.
Sono diventato un giocatore di fama internazionale grazie alla Nazionale Argentina. Mi ci ha portato nel Settantatré un mostro sacro del fútbol, un certo Enrique Omar Sivori. Era il seleccionador della Nazionale e mi convocò per una partita di Copa Lipton contro l'Uruguay. Da allora sono diventato titolare della numero sette dell'Albiceleste. Ho preso parte alle edizioni dei Mondiali di Germania nel Settantaquattro, dove ho realizzato una rete fantastica all'Italia, e a quelli casalinghi del Settantotto. Quelli che abbiamo tristemente vinto. Guidati in campo da Menotti e fuori dal campo da quel maiale di Videla.
Ma come vi ho detto gli eccessi erano troppi, tanti e la mia stella ha iniziato ad offuscarsi a soli ventisette anni. In cinque stagioni ho giocato per il River Plate, il Colo-Colo in Cile, per l'AmaZulu in Sud Africa, per l'Independiente, con cui ho vinto la Copa Libertadores e poi finalmente per la squadra per cui ho sempre fatto il tifo, l'Excursionistas. Una partita, una sola nel millenovecentottantacinque, poi ho annunciato il ritiro. La perfetta quadratura del cerchio.
Riuscite a capire quanto romantico sia il fútbol? Il club che mi aveva rifiutato è stato anche quello che mi ha visto dare l'addio al calcio!
“Sobre la hora cuando los flojos lloran y está cerquita el fin, quiero ver sobre la cancha aquellos que se bancan tener alma de win”.
Così canta Ariel Prat in "Sobre la hora”, canzone che è dedicata a me, a "El loco”, a "El Hombre Casa".
Come dite? Chi è Ariel Prat?
È il leader di una band musicale.
Dimenticavo.
Il nome della band è Houseman René Band.
- El Grafico del 25 de Junio de 1974. Edicion 2855 - Dominio Pubblico - via Wikipedia
- René Houseman dribbing while playing for Huracán - El Gráfico 1973 - via Wikipedia
- Houseman in azione contro l'Italia al Mondiale '74 - CC BY-SA 3.0 de - via Wikipedia