Il numero “8” per antonomasia del Bologna. “Il Bolognese a vita” che al suo ingresso in campo faceva drizzare in piedi il trombettiere Gino Villani che prima dello squillo arringava la folla: “Ecco l’Onorevole Giacomino. Salute!”, e sempre Giacomino gli rispondeva con il braccio alzato.
“Al Bologna ho dato il cuore e l’intera carriera. Anche i ginocchi, malandati negli ultimi tempi, nel tentativo di raggiungere, a trentacinque anni, il record di presenze con la maglia rossoblù (giocatore con più presenze in Serie A nella storia del Bologna: 391). E il Bologna mi ha dato i momenti più belli, la parte più importante della mia vita. Sono nato lì, nel mio Bologna, a 13 anni, e per ventidue campionati sono rimasto, nonostante le offerte e le tentazioni. Come quando Fulvio Bernardini non mi faceva giocare e io mi arrabbiai talmente da prendere in considerazione l’offerta di Nereo Rocco che mi voleva al Padova. Poi per fortuna rimasi, anche perché scoprii che quello di Bernardini era soltanto un modo per mettere alla prova il mio carattere, per conoscermi e capire chi ero e che cosa potevo fare. È stato uno dei miei maestri uno dei più importanti nella mia carriera. L’altro è stato Edmondo Fabbri, un uomo unico ma troppo moderno per il calcio di quegli anni: il suo gioco e il suo carattere non erano in sintonia con il resto del mondo calcistico. In più, era troppo emotivo e sono state queste le cose che non gli hanno permesso di emergere come avrebbe meritato. Sono anche stato fortunato, nella mia vita di calciatore. Il Bologna di quegli anni era fortissimo. Momenti importanti, emozionanti, che rimangono nei ricordi perché hanno qualche cosa di incredibile: la spareggio scudetto a Roma nel 1964, le due Coppe Italia del 1970 e del 1974, anni che non si sono più ripetuti, che restano un ricordo entusiasmante per me che li ho vissuti da protagonista. Avrei voluto rimanere, anche se non ho mai pensato a una carriera di allenatore: con il mio carattere impulsivo non sarei proprio adatto! Avrei preferito aver a che fare con le scartoffie, vedere quel mondo da un’altra prospettiva ma oggi rimango comunque legato a quella squadra, alla scelta di non cambiare mai. Da tifoso, come da giocatore: quando mi richiese il Milan — e in ballo c’erano un bel po’ di soldi per la squadra e per me — ci pensai soltanto un attimo, poi consigliai Fogli. Io rimasi e non mi sono mai pentito di questa decisione. Il calcio è rimasto nella mia vita, lo racconto in televisione, mi piace viverlo in modo calmo, razionale, ragionando seriamente sulle cose che succedono. Certo il calcio dei miei tempi era un’altra cosa. Esordii nel 1958 e, quell’anno, ero anche impegnato nella maturità classica: mio padre mi disse che andava bene il calcio ma che se non riuscivo a inserirmi subito nella squadra, a giocare con continuità, sarebbe stato meglio che abbandonassi tutto, che mi dedicassi seriamente agli studi, perché quella era la cosa davvero importante. Erano anni in cui ho giocato con Sergio Campana, quello che gli studi li ha proseguiti e che adesso è presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. In Nazionale ho avuto meno fortuna, mi sono infortunato nei momenti più delicati ma il mio amore per la maglia azzurra è stato enorme e tutte le volte che l’ho indossata mi sono sentito orgoglioso di essere stato scelto, di rappresentare l’Italia nel mondo. A questa Bologna, nella quale ho vissuto momenti unici, ai tifosi, a tutti i palloni che volano e rotolano all’ombra delle torri.”
(Giacomo Bulgarelli)
Nel 1965 Bulgarelli compare nel film documentario di Pier Paolo Pasolini “Comizi d’amore”, in cui l’autore cerca di conoscere le opinioni degli italiani sulla sessualità, l’amore e il buon costume e vedere come sia cambiata negli ultimi anni la morale del suo paese. Nel film, Pasolini, grande tifoso del Bologna, intervista alcuni giocatori rossoblu, tra cui il giovane Bulgarelli.
“Bulgarelli gioca un calcio in prosa: egli è un «prosatore realista».”
(Pier Paolo Pasolini)
Nel 1965, il giornalista Italo Cucci gli dedica un libro: “Il Borghese Bulgarelli”, poi riedito nel 2011 da Lìmina edizioni con il titolo di “Il mondo di Giacomo Bulgarelli”.
Nel 1998, lo scrittore Fernando Acitelli gli dedica una poesia nel suo libro La solitudine dell’ala destra, e il poeta Davide Ferrari ha scritto, nel 2009, il ricordo di Bulgarelli per il Quotidiano “Il Bologna”.