Non eravamo tanti, allo stadio, quel pomeriggio. La giornata non era particolarmente invitante, l’avversario- il Chievo di Sorrentino- nemmeno. Il punto è che nemmeno il Palermo era più invitante. Da anni ormai Zamparini aveva tagliato i viveri, dopo l’annuncio seguito alla finale di Coppa Italia e, malgrado ogni estate giurasse di aver allestito la squadra più forte di sempre, l’aspettativa dei tifosi era ormai sempre la stessa: una decorosa salvezza, e qualche sporadica soddisfazione.
Così, quel pomeriggio allo stadio eravamo davvero pochini.
Alla fine di una lunga trattativa, al grido di “o tutti o nessuno”, il nostro gruppetto di amici aveva deliberato di rinnovare anche quell’anno l’abbonamento. In realtà qualche defezione c’era stata, motivata dallo slogan “Non voglio essere suo complice”, riferito alle politiche del presidente, ma quel pomeriggio anche i dissidenti avevano deciso di acquistare il biglietto e di essere dei nostri. Evidentemente avevano avvertito che era il caso di esserci.
Scontro salvezza, si poteva definire. Il Palermo arrancava ma il Chievo non era messo meglio. Come da tradizione, avevamo già cambiato allenatore. Da un paio di partite, sulla panca più calda della serie A sedeva Giampiero Gasperini, eroe –da calciatore- di una delle più belle squadre della mia infanzia, ricordata come “il Palermo di De Rosa”. “Più forte di quello attuale?” era il tema del dibattito pre-partita. “Si” fu l’esito del sondaggio.
Partita da vincere, se volevamo tenere il passo salvezza. Partita ostica, come sempre contro il Chievo. Che sblocchiamo nel primo tempo, con un classico degli ultimi anni: una gran punizione di Fabrizio Miccoli. Il giocatore più tecnico, il nostro campione. Col mister si stavano studiando, le sue idee di calcio non erano proprio perfettamente compatibili con le caratteristiche soprattutto fisiche del folletto rosanero. Decisamente più adatti lo sloveno Ilicic e il puntero Hernandez; ancora troppo acerbo u picciriddu Dybala. Però quel giorno in campo c’era Fabrizio, perché la partita si doveva vincere, e i colpi giusti ce li aveva soprattutto lui. E infatti, fuori il primo: 1-0. Ma poi il Chievo pareggia. All’intervallo minaccia pioggia, e c’è chi recrimina: “Ma se ma ne stavo a casa…” Macchè! Nel secondo tempo succede qualcosa di magico. Altro che casa!
Fabrizio Miccoli ha un idolo, un faro ispiratore: si chiama Diego Maradona. Lo ricorda un po’, col suo baricentro basso, col suo gioco funambolico, con la sua scarsa voglia di allenarsi, con la sua tendenza alla pinguedine, con la sua voglia di essere leader. E’ talmente il suo idolo che ha voluto a tutti i costi acquistare all’asta pubblica il suo orecchino, pignorato per motivi fiscali, e poi rubato e poi ritrovato in circostanze misteriose. E in quel secondo tempo, Diego Armando Maradona decise di accontentare quel suo fan speciale e di incarnarsi in lui.
Fabrizio infatti si trova un pallone a bordo area; è marcato da un avversario ma è l’ultimo dei problemi. Si sposta il pallone largo a destra e spara un fendente che si infila in quel buco che c’è fra Sorrentino e il palo. Ma questo è ancora niente, il bello deve ancora venire.
A un certo punto prende palla e si lancia in contropiede. Comincia a dribblare un avversario, poi due, poi però si allarga fino alla bandierina. Si ferma, si guarda intorno: compagni vicini non ce ne sono. Che fare? Si rende conto che il pomeriggio è magico, e allora riparte, passa in mezzo ad altri due insieme come Diego contro gli inglesi, poi un altro ancora e poi cerca di entrare in porta col pallone, ma Sorrentino non glielo consente. Sulla sua respinta arriva Giorgi, toccato dalla grazia anche lui, che trova lo spazio per segnare il 3-1.
Mentre i tifosi impazziti si sfidano sul conteggio degli avversari saltati da Miccoli, e Sorrentino, come sua abitudine che manterrà quando sarà dei nostri, staziona fuori dalla propria area a incitare i compagni alla riscossa, ecco che un disimpegno difensivo trova Miccoli solo qualche passo avanti la linea di metàcampo. Come insegnava Adolfo Celi in Amici miei, il genio si manifesta in un attimo, specie se c’è ancora Diego ad ispirarlo. Sa che Sorrentino è fuori porta, si ricorda che la giornata è magica e decide di sparare un pallonetto istintivo al volo da cinquanta metri, proprio come Diego al San Paolo contro il Verona. E’ ancora goal, un goal pazzesco, e quei pochi che avevano sfidato la giornata uggiosa si rendono conto che chi non l’ha fatto non capirà mai cosa si è perso.
E’ stata forse l’ultima grande partita di Miccoli al Barbera. Il Palermo non sarebbe riuscito ad evitare la retrocessione, e il campione sarebbe infine inciampato sulla buccia di un’intercettazione nell’auto di un amico poco raccomandabile, dilapidando così in un attimo, per buona parte della tifoseria, un patrimonio di affetto costruito negli anni in cui è diventato l’attaccante più prolifico in maglia rosanero, e certamente il più spettacolare.
Però quel pomeriggio, lasciatevelo dire da chi c’era, con la sua maglia hanno giocato in due: lui e il suo idolo Diego Armando Maradona.
- Fabrizio Miccoli Morgan Amalfitano West Ham Vs Birkrikara - via Wikipedia