“C he numeri Maradona. Una volta gli ero addosso, incollato. L’avevo, come si dice adesso, ingabbiato. Si è girato con una piroetta, un tunnel ed è volato via. Io allora sono scattato e l’ho raggiunto e chiuso in angolo e lui si è messo ridere: ‘Hanno ragione a dire che sei Hulk: ti manca solo il colore verde’.”
“Alcuni anni fa ho incontrato Van Basten a Montecarlo. Era in piscina con la bambina e mi ha chiesto: ‘Ma tu giochi ancora?’ Era triste, è stato imbarazzante. Lui si era ritirato a 29 anni, io ne avevo 40 ed ero ancora in pista. È stata una perdita immensa. Noi del calcio, tutti noi, non sappiamo cosa abbiamo perso con l’addio di Marco. Giocatore unico, forse come i nostri duelli. Erano duri e spigolosi, ma leali. Ci siamo battuti e picchiati, non si è mai tirato indietro. Non era cattivo come Bettega, ma il gomito lo alzava anche lui.”
“L’allenamento cominciava alle dieci del mattino, io alle otto e mezzo ero già in campo. Spesso arrivava l’Avvocato. Non mi chiedeva di calcio, era curioso di tutto. Era stato in cavalleria e voleva sapere di mio padre soldato dell’armata sovietica. Della prigionia, del suo lavoro in Ucraina. Poi parlava anche della Juve… Nella Juve sono stato bene, c’era la struttura ideale per giocare al calcio. Come al Milan: tu devi pensare solo a fare il giocatore. Alla casa, all’affitto, al pediatra ci pensano loro.”
“La Roma un’altra realtà, un’altra dimensione, altri giocatori: Ancelotti, Falcao, Prohaska, Bruno Conti. E il Barone… Ci affascinava con i suoi racconti surreali. Liedholm era molto superstizioso. Sulle maglie, ad esempio. Non potevamo prenderle, doveva consegnarle lui. Una volta, l’ho strappata dal mucchio, tanto sapevo il numero. Mi ha guardato malissimo: ‘Se succede qualcosa la colpa è tua. Non farlo più, capito?’ Un’altra volta mi metto, per sbaglio, il suo cappotto: nelle tasche c’era di tutto. Ma proprio di tutto: sale, ciondoli, amuleti, boccettine, cornetti. Uomo fine e ironico ma credeva a queste cose.”
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