“J ašin ha rivoluzionato il ruolo del portiere come nessun altro ha
saputo fare, per la sua prontezza e la sua reattività che lo hanno reso
un vero difensore aggiunto, e perché con i suoi rilanci immediati era in
grado di dare il via a pericolosissimi contrattacchi.”
(France Football, Giugno 2018.)
Ai giorni nostri si abusa di alcuni termini con molta leggerezza. Uno dei termini in questione è “leggenda”. Sono tutti o quasi “leggende”. Ma accostarlo al nome di Lev Ivanovič Jašin non c’è da aver paura. Lui, il “Ragno Nero” o la ”Pantera Nera” una leggenda lo è per davvero.
Così come vera e propria leggenda è quella che lui, Lev, giocasse con una divisa nera. Leggenda nata durante la Coppa del Mondo del 1958, la prima ad essere trasmessa a livello internazionale: quell’uomo che il pubblico aveva imparato a conoscere ed osannare attraverso la televisione, che rimandava la sua immagine in bianco e nero, parare l’impossibile. Leggenda alimentata anche da romantiche descrizioni: “Lev Jašin chiudeva la porta senza lasciare neppure un piccolo spiraglio. Questo gigante dalle lunghe braccia di ragno, sempre vestito di nero, aveva uno stile spoglio, un’eleganza nuda che disdegnava la spettacolarità dei gesti eccessivi. Era solito parare tiri fulminanti alzando solo una mano, tenaglia che afferrava e triturava qualsiasi proiettile, mentre il corpo restava immobile come una roccia. E senza muoversi, poteva anche deviare il pallone solo lanciandogli uno sguardo.
“Era di un blu molto scuro, una semplice maglia di lana con il numero
uno che io cucivo a mano sulla schiena. Lev ha sempre giocato con quel
colore addosso. In vent’anni avrà cambiato tenuta solo due o tre
volte, e perché le maniche si erano logorate. Così prendeva una divisa
dello stesso modello. I campi di gioco erano melmosi, soprattutto in
primavera e autunno, ma fortunatamente sull’uniforme scura lo sporco non
si notava tanto. Quando la riportava a casa, la vasca da bagno diventava
nera e si riempiva di segatura: le aree di rigore ne erano sempre
coperte per evitare che il portiere affondasse nel fango.”
(Valentina Timofeevna Jašina)
Leggenda si diceva, e non solo perché il portiere sovietico è l’unico ad oggi nel suo ruolo ad essere stato insignito del pallone d’Oro, quello del 1963. Non solo per aver vinto la Medaglia d’Oro ai XVI Giochi Olimpici, quelli di Melbourne del 1956. Non solo per aver vinto il campionato d’Europa nel 1960. Non solo per aver vinto per cinque volte il campionato di calcio dell’Unione Sovietica oltre a tre coppe dell’URSS sempre con la Dinamo Mosca, la squadra di calcio di tutta la sua vita, una maglia che ha vestito per ventidue anni consecutivi. “Ho giocato solo con la Dinamo e con la Nazionale. So che da voi (in Italia) le cose vanno diversamente. Da voi è normale cambiare casacca...”. Non solo perché riuscì a mantenere inviolata la sua porta per 270 volte su 812 incontri disputati. Non solo perché parò oltre 150 calci di rigore nella sua carriera, mai nessuno come lui... Non solo.
Pelé lo ha descritto come: “un uomo di straordinaria generosità.”
Nasce a Mosca, Lev, nel 1929, in una famiglia e in quartiere operai. Il quartiere è quello di Tušino. Ancora adesso le anziane signore del quartiere, quelle che erano bambine quando Lev giocava, si ricordano di lui: “Lui, stella del calcio, quando tornava dalle partite in giro per il mondo aveva sempre un regalino per noi bambini del condominio.”
Già a 12 anni Lev si ritrova a lavorare in fabbrica: gli uomini sono in Guerra e le fabbriche non possono fermarsi, così Lev entra in fabbrica. Si dice che i colleghi gli lanciassero per gioco dei bulloni e lui, Lev, non se ne facesse scappare uno. Si narra che in realtà fosse il padre ad “allenarlo” in modo tanto spartano. Sia come sia non c’è da avere timore quando si aggiunge il termine “leggenda” accanto al nome di Lev Ivanovič Jašin.
“Gioco al calcio, e mi pagano perfino per questo. Cosa dovrei volere altro?”
“Adoravo andare a pesca e mi piaceva molto andare al Cinema. Avevo una passione per Gina Lollobrigida.”
“Se non sei tormentato dopo aver fatto un errore, non sei un grande portiere. In quel momento, non importa quello che hai fatto in passato, perché sembra non avere futuro.”
“La sensazione di vedere Yuri Gagarin volare nello spazio è superata solo dal godimento di parare un rigore.”
“Ci sono soltanto due portieri di classe superiore al mondo. Uno dicono sia io, l’altro è sicuramente quel ragazzotto Tedesco (Bert Trautmann) che difende la porta del Manchester City.”
“Eseguiva parate spettacolari, era capace di intercettare i cross e
sapeva posizionarsi strategicamente. Per di più era un gran signore.
Durante la Coppa del Mondo del 1966, effettuò una parata proprio ai
piedi di un giocatore che per poco non gli staccò la testa. La sua prima
reazione fu di alzarsi e, invece di protestare come avrebbe fatto
chiunque, andò ad accertarsi che l’avversario che lo aveva urtato con
violenza stesse bene.”
(Gordon Banks)
“Quel 10 Novembre 1963 mi sentii ipnotizzato. Lev era un gigante
nero: lo guardai cercando di capire dove si sarebbe buttato e solo tempo
dopo mi resi conto che doveva avermi ipnotizzato per davvero. Ero
tranquillo quando Edmondo (Fabbri) indicò che toccava a me calciare quel
rigore. Poggiai la palla sul dischetto. Quando presi la rincorsa per
calciare vidi che accennava ad un movimento sulla destra: potevo
calciare dall’altra parte, non ci riuscii. Quel giorno il mio tiro andò
dove voleva Jašin! L’Italia era fuori agli Ottavi di finale del
Campionato d’Europa e Jašin gioca a calcio meglio di me.”
(Sandro Mazzola)