Nacht von Seville
Siviglia. 8 luglio del 1982. Stiamo partendo io e i miei compagni della Germania Ovest per raggiungere con il pullman lo stadio Ramón Sánchez Pizjuán dove fra poche ore affronteremo la Francia nella semifinale della Coppa del Mondo del 1982 in Spagna. I mangiaspaghetti hanno vinto la loro di semifinale contro la Polonia. Adesso tocca a noi.
Sono già tutti nella hall dell’albergo. Io, Klaus Fisher e Pierre Littbarski siamo gli ultimi. Prendiamo l’ascensore insieme ad alcuni turisti. Dopo pochi secondi l’ascensore si blocca. Il tempo passa. Non succede niente. Il caldo inizia a diventare soffocante. Le due donne nell’ascensore iniziano a lagnarsi. Non ce la faccio più.
Devo uscire. Senza pensarci due volte apro le porte dell’ascensore con quanta forza ho in corpo. Porca puttana. Le spalanco e cosa ti vedo? Il muro. Davanti a me solo un cazzo di muro di cemento! Dopo un quarto d’ora ci tirano fuori. Non sono incazzato. Di più. L’adrenalina che già era bella alta adesso è a mille. Sono tutti sul pullman. Nessuno si azzarda a dirmi una parola.
Nella fretta poi ho lasciato la borsa in quel cazzo di ascensore. E nella borsa c’è la maglietta blu, quella con cui ho giocato tutte le partite, fino ad oggi. Perché oggi giocherò con la maglia rossa.
Ore 21.00. Entriamo in campo. La prima cosa che noto, e come non notarlo, è il portiere francese, Jean-Luc Ettori. Abbiamo la stessa maglia!
Ci sono 70.000 spettatori questa sera. Non mi sento tranquillo. L’ascensore. La maglia rossa. C’è qualcosa che no mi quadra. Sono insolitamente nervoso. Nel primo tempo, ho dato pure una manata ad un giocatore francese, non ricordo nemmeno chi. Adesso poi ci sono dietro di me i tifosi francesi. Mi stanno mandando fuori di testa. Così prendo un pallone e faccio finta di calciarlo con forza verso di loro.
Poi vedo partire un lancio millimetrico. Di sicuro sarà stato Platini. Pesca Patrick al millimetro. E’ lanciato a tutta verso l’area. I miei compagni non lo tengono. Gli arrivo davanti lanciato come un treno. Lui mi salta con un pallonetto. Boom. Lo centro in pieno. La palla è finita fuori. Meno male!
Patrick è rimasto a terra. Privo di sensi, completamente immobile. Io non so bene cosa mi sia successo. Non mi sono fatto niente eppure me ne sto qui in area a palleggiare e fare stretching. Me ne sto con le braccia poggiate sui fianchi e non riesco nemmeno ad avvicinarmi. Sono nervoso.
Non volevo colpirlo, tantomeno fargli del male, ma rifarei la stessa cosa se l’azione dovesse ripetersi. Era l’unico modo secondo me per prendere la palla. Segretamente, però temo che Patrick sia gravemente ferito, forse in coma.
Ad ogni modo se c’è una cosa che rimpiango con tutto me stesso è quella stupida dichiarazione a fine partita, voleva essere una battuta sarcastica, ma non era decisamente il momento dire che mi sarei fatto carico delle spese odontoiatriche di Patrick.
Così il primo match della storia dei Mondiali di calcio deciso ai rigori, una delle più belle partite di sempre della Coppa del Mondo, verrà ricordato per sempre per il mio fallo su Patrick.